Roma — In tema di abusivismo edilizio e vincoli ambientali, la Cassazione penale detta nuove regole di rigore e puntualizza i limiti invalicabili per chi tenta di aggirare le demolizioni o di sanare abusi con strumenti non consentiti. Con due sentenze depositate l’8 luglio 2025 — la n. 24990 e la n. 24980 — la Suprema Corte affronta il tema sia dal punto di vista della legittimazione ad agire contro l’ordine di demolizione sia sotto il profilo della sanabilità di manufatti realizzati in aree soggette a vincolo paesaggistico.
Chi perde il bene, perde anche il diritto di opporsi alla demolizione
Nel primo caso (sentenza n. 24990/2025), la Cassazione ha stabilito che l’autore di un abuso edilizio non può più opporsi all’ingiunzione di demolizione di un immobile ormai acquisito al patrimonio comunale.
Il ricorrente aveva tentato di bloccare l’esecuzione dell’ordine di demolizione emesso dal pubblico ministero, sostenendo, tra l’altro, che il manufatto fosse stato destinato dal Comune ad abitazione popolare. Ma la Corte ha ribadito un principio fermo: una volta acquisito il bene al patrimonio pubblico, il privato perde ogni diritto reale e interesse giuridico sullo stesso.
Non solo. La Cassazione sottolinea che il tempo trascorso tra il provvedimento del giudice penale e l’ingiunzione a demolire non può essere sfruttato dall’autore dell’abuso per invocare esigenze abitative proprie o di terzi. Se il Comune intendeva mantenere il manufatto, avrebbe dovuto approvare una delibera consiliare esplicita, che nel caso concreto non era mai stata adottata.
Sanatoria in zona vincolata? Solo con autorizzazione paesaggistica e doppia conformità
Con la seconda pronuncia (sentenza n. 24980/2025), la Suprema Corte ha affrontato la questione della sanatoria per opere abusive in area vincolata, chiarendo che il permesso a costruire rilasciato in sanatoria è valido solo se accompagnato dalla doppia conformità urbanistica ed edilizia e, soprattutto, dall’autorizzazione paesaggistica.
Nel caso di specie, il ricorrente aveva realizzato una cisterna interrata per la raccolta di acqua piovana senza il previsto deposito del progetto strutturale e senza il nulla osta paesaggistico, cercando poi di evitare la demolizione presentando una tardiva istanza di sanatoria.
La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la semplice richiesta di sanatoria non blocca automaticamente gli effetti della sentenza di condanna. Solo un accoglimento positivo dell’istanza, e quindi il rilascio di un permesso regolare, può impedire la demolizione.
Ma nel caso concreto, l’opera abusiva violava sia la normativa edilizia che quella paesaggistica, e la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica rendeva insanabile l’abuso, indipendentemente dalla conformità urbanistica.
Un segnale netto contro l’illegalità edilizia
Le due pronunce confermano l’orientamento restrittivo della giurisprudenza di legittimità in materia di abusivismo edilizio, inasprendo i presupposti per ottenere deroghe o sanatorie. La Cassazione richiama la funzione pubblicistica degli ordini di demolizione: strumenti indispensabili per il ripristino della legalità urbanistica e ambientale.
Nessuno — ammonisce la Corte — può avvantaggiarsi delle inerzie amministrative o di generiche destinazioni di interesse pubblico non formalizzate, e ancor meno aggirare vincoli paesaggistici confidando nel solo rilascio di un titolo edilizio in sanatoria.
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