ROMA — La cedolare secca può essere applicata anche ai contratti di locazione stipulati con fondazioni, purché l’immobile sia destinato a uso abitativo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 12076/2025, respingendo il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro una precedente pronuncia della Commissione tributaria regionale del Lazio.
Il caso nasce da un avviso di accertamento notificato nel 2016 a un contribuente per un contratto di locazione risalente al 2011. Secondo il Fisco, la cedolare secca non sarebbe stata applicabile, in quanto la fondazione conduttrice — attiva nel settore dell’editoria — esercitava attività professionale. Inoltre, l’amministrazione finanziaria riteneva che il regime agevolato spettasse agli enti senza scopo di lucro solo in presenza di sublocazioni a studenti o di immobili concessi ai Comuni.
Di diverso avviso i giudici tributari, che hanno confermato l’orientamento emerso da più recenti pronunce della Cassazione. La Suprema Corte ha infatti ribadito che il locatore può scegliere il regime della cedolare secca anche se il conduttore utilizza l’immobile ad uso abitativo nell’ambito della propria attività professionale. L’esclusione prevista dall’articolo 3, comma 6, del decreto legislativo n. 23/2011 — osservano i giudici — riguarda solo le locazioni effettuate dal locatore nell’esercizio di impresa o di arti e professioni, e non quelle concluse da un soggetto privato con un imprenditore o un ente, se l’immobile conserva la destinazione abitativa.
L’Agenzia delle Entrate aveva sostenuto una lettura restrittiva della norma, richiamando anche una giurisprudenza di merito non uniforme e un precedente isolato della Cassazione. Ma i giudici di legittimità hanno smentito questa impostazione, precisando che il regime agevolato resta applicabile anche quando il contratto di locazione ad uso abitativo è sottoscritto da un soggetto professionale o imprenditoriale, purché l’utilizzo dell’immobile sia conforme alla destinazione residenziale.
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