23 Maggio 2025 - La sentenza

Avvocati, incostituzionale il divieto di cancellazione dall’albo durante il procedimento disciplinare

La Corte costituzionale boccia la norma della legge forense: lede i diritti fondamentali di autodeterminazione e libertà di lavoro. Ora il legislatore dovrà intervenire per colmare il vuoto normativo.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 depositata oggi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma della legge forense che vietava la cancellazione dall’albo degli avvocati in pendenza di procedimenti disciplinari a carico del professionista.

La questione era stata sollevata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nell’ambito di un giudizio riguardante il rigetto, da parte del Consiglio dell’Ordine, dell’istanza di cancellazione avanzata da un avvocato gravemente malato. La motivazione del diniego risiedeva nella pendenza di più procedimenti disciplinari nei confronti del legale.

La Consulta ha ritenuto che il divieto di cancellazione, pur finalizzato a garantire l’efficacia dell’azione disciplinare — impedendo che la rinuncia all’iscrizione potesse vanificarla — comporti una compressione eccessiva di diritti fondamentali di rango costituzionale.

Secondo i giudici costituzionali, infatti, la norma contrasta con l’articolo 2 della Costituzione, poiché limita la libertà del professionista di autodeterminarsi in merito alla propria permanenza nell’albo, anche in presenza di condizioni personali che richiedano la cessazione dell’attività o la possibilità di accedere a prestazioni previdenziali o assistenziali.

Inoltre, il divieto incide in modo sproporzionato sulla libertà di lavoro garantita dall’articolo 4 della Costituzione, ostacolando la possibilità per l’avvocato di cessare l’attività professionale o di intraprendere un diverso percorso lavorativo, con un sacrificio di durata indefinita, considerata l’assenza di termini certi per la conclusione dei procedimenti disciplinari.

Pur riconoscendo la legittimità della finalità di garantire la prosecuzione dell’azione disciplinare, la Corte ha osservato che il divieto in esame non rappresenta la misura meno restrittiva possibile dei diritti coinvolti, violando così anche il principio di ragionevolezza e proporzionalità sancito dall’articolo 3 della Costituzione.

La sentenza evidenzia inoltre che l’eliminazione del divieto lascia un vuoto normativo che il legislatore sarà chiamato a colmare, predisponendo un meccanismo che, pur salvaguardando l’efficacia dell’azione disciplinare, rispetti i diritti fondamentali dei professionisti coinvolti.

In attesa di un intervento legislativo, la Corte ha precisato che la rinuncia all’iscrizione all’albo comporta l’estinzione del procedimento disciplinare in corso, senza però far venir meno la possibilità per gli organi competenti di riattivare l’azione sanzionatoria qualora il professionista chieda, in seguito, di essere nuovamente iscritto all’albo, purché il fatto contestato non sia prescritto.


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