L’intelligenza artificiale non è più soltanto una materia da addetti ai lavori o una tecnologia da osservare a distanza: è ormai uno strumento operativo concreto che sta trasformando anche le professioni più tradizionali, come quella dell’avvocato. Spesso senza accorgersene, i legali utilizzano sistemi di AI integrati nei motori di ricerca giuridica, nei software di analisi dei casi e persino nella redazione di documenti.
A fronte di questa evoluzione, si moltiplicano però anche interrogativi e cautele. Se da un lato gli strumenti di intelligenza artificiale promettono di velocizzare il lavoro, dall’altro mostrano ancora margini di errore e criticità, specie nella capacità di contestualizzare le informazioni e nel rispetto della privacy.
Tre facce dell’AI per gli avvocati
Oggi il ventaglio di applicazioni dell’AI per la professione legale si suddivide principalmente in tre categorie: sistemi predittivi, che elaborano grandi quantità di dati per ipotizzare l’esito di una controversia; software di ricerca giuridica e documentale, che aiutano a recuperare norme e sentenze; e strumenti generativi, in grado di produrre bozze di atti e contratti in tempi rapidissimi.
Tutti strumenti utilissimi, certo, ma ancora lontani dalla perfezione. Il limite più evidente resta l’incapacità di comprendere davvero il contesto di un caso specifico, con il rischio di analisi errate o di risposte fuorvianti, come ha dimostrato un recente caso giudiziario finito sotto i riflettori a Firenze.
Le nuove regole in arrivo
A regolamentare questo scenario in rapida evoluzione arriva il Disegno di legge sull’Intelligenza Artificiale, attualmente all’esame del Parlamento. Il testo definisce i princìpi generali per l’uso responsabile dell’AI, recependo i criteri stabiliti dall’AI Act europeo, entrato in vigore lo scorso agosto.
Particolare attenzione viene dedicata alle professioni intellettuali e all’ambito giudiziario. In quest’ultimo caso si autorizza l’uso sperimentale dell’AI solo per attività organizzative e di supporto, lasciando alle decisioni umane la valutazione dei fatti e l’adozione dei provvedimenti. Agli avvocati, invece, viene chiesto di limitare l’uso dell’intelligenza artificiale a compiti accessori, garantendo la prevalenza dell’apporto umano e intellettuale nella gestione del mandato.
Obbligo di trasparenza verso il cliente
Tra le disposizioni più rilevanti per gli studi legali c’è l’obbligo di informare chiaramente i clienti ogni volta che si intenda utilizzare sistemi di intelligenza artificiale nell’esecuzione di un incarico. Non basterà più accennare genericamente alla tecnologia: sarà necessario specificare quali strumenti si utilizzeranno, se sviluppati internamente o forniti da terzi, e soprattutto assicurare il rispetto della riservatezza dei dati trattati.
Sarà quindi utile per gli avvocati iniziare fin da subito a ripensare i modelli di lettera d’incarico e i mandati, integrandoli con queste informazioni e predisponendo procedure di verifica e supervisione dei risultati prodotti dai sistemi di AI.
Formazione obbligatoria e cultura digitale
Infine, il disegno di legge coinvolge anche gli Ordini professionali, chiamati a organizzare corsi di aggiornamento sull’uso dell’intelligenza artificiale applicata alla professione forense. L’obiettivo è formare avvocati capaci di sfruttare le potenzialità della tecnologia senza perdere il controllo critico e il valore aggiunto della valutazione umana.
Perché se è vero che l’AI sta cambiando il lavoro dell’avvocato, è altrettanto vero che la responsabilità delle decisioni — almeno per ora — resta saldamente nelle mani delle persone.
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