Redazione 18 Aprile 2025

Nordio tra riforme mancate e resistenze politiche: la giustizia resta in stallo

“Intendiamo rimodulare i presupposti perché scatti la carcerazione preventiva.” Così, due giorni fa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervistato da SkyTg24, ha rilanciato l’idea di una riforma delle misure cautelari, ritenendo superate le attuali categorie che giustificano il carcere prima del processo: pericolo di fuga, inquinamento delle prove, e rischio di reiterazione del reato. Un obiettivo ambizioso, ma che appare oggi lontano dalla realizzazione, stretto nella morsa di un contesto politico poco favorevole.

Il tema è tornato sul tavolo ieri alla Camera, durante i lavori della commissione Giustizia. A riaccendere la discussione è stato Tommaso Calderone, capogruppo di Forza Italia, con un’interrogazione in cui ha chiesto al governo quali azioni concrete intenda intraprendere a breve per limitare l’abuso della custodia cautelare. I numeri del ministero della Giustizia parlano chiaro: al 31 marzo 2025, su oltre 62mila detenuti, ben 9.271 erano in attesa del primo giudizio.

Il sottosegretario Andrea Delmastro ha riconfermato l’attenzione del ministro Nordio alla questione, ma ha anche ribadito che ogni iniziativa in materia è nelle mani della Commissione Mura, incaricata di elaborare una proposta complessiva di riforma del processo penale. Tradotto: i tempi saranno lunghi.

Calderone, però, non intende aspettare e ha proposto un’accelerazione sull’iter della sua proposta di legge per modificare l’articolo 299 del codice di procedura penale, eliminando — con le dovute eccezioni per mafia, terrorismo e reati sessuali — la reiterazione del reato come motivo per applicare la custodia cautelare. Una strada già disponibile, ma che non trova slancio politico.

Perché? La risposta sta nei delicati equilibri interni alla maggioranza. La riforma della giustizia è diventata merce di scambio nella partita più grande della separazione delle carriere, considerata una priorità assoluta dal governo Meloni. In questo scenario, le proposte più garantiste — retaggio della cultura giuridica berlusconiana — rischiano di apparire troppo “liberali” per l’elettorato sovranista, mettendo a rischio la compattezza della coalizione e, soprattutto, l’esito del futuro referendum.

Non è l’unica battuta d’arresto. Sempre ieri, la proposta di legge per istituire la “Giornata Enzo Tortora” dedicata alle vittime di errori giudiziari non ha ottenuto il via libera in commissione, incagliandosi nella burocrazia parlamentare. Settimana prossima si deciderà se bocciarla o rinviarla, ma in entrambi i casi il rischio concreto è l’archiviazione.

Un altro fronte caro al ministro è la lotta al processo mediatico. Nordio ha dichiarato di voler intervenire sull’istituto dell’informazione di garanzia e sul registro degli indagati, che da strumento di tutela si sarebbero trasformati in strumenti di condanna preventiva e gogna mediatica. La miccia, in questo caso, è stata probabilmente la pubblicazione delle intercettazioni relative al calciatore Nicolò Fagioli, coinvolto in un’inchiesta sulle scommesse.

Ma l’ambizione di Nordio va oltre. Il ministro vorrebbe mettere mano al Codice Rocco, ancora oggi in vigore, eredità del ventennio fascista. Una revisione che punterebbe a ridefinire i concetti di causalità e le scriminanti, riducendo l’area della perseguibilità penale. Un vecchio pallino del Nordio magistrato, che però oggi si scontra con l’atteggiamento opposto di Lega e Fratelli d’Italia, da sempre inclini ad aumentare i reati per ogni nuova emergenza percepita.

Il risultato? Le spinte riformatrici del Nordio “liberale” si scontrano con il pragmatismo politico del Nordio ministro, costretto a mediare tra ideali e convenienze di governo. A dettare la linea è la necessità di non compromettere il referendum sulla separazione delle carriere, ormai diventato la vera posta in gioco per l’esecutivo. E così, ogni altra riforma della giustizia, per quanto urgente e condivisibile, resta appesa a un filo.


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