La ripartizione degli utili in uno studio associato tra avvocati può essere modificata a maggioranza, purché lo statuto non imponga esplicitamente il requisito dell’unanimità. A stabilirlo è la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 9782 depositata il 15 aprile 2025, che conferma quanto deciso dalla Corte d’appello di Roma.
Il caso nasce dal ricorso di un socio fondatore contro la modifica delle percentuali di distribuzione degli utili dello studio legale per l’anno 2015. Secondo il ricorrente, ogni variazione avrebbe richiesto il voto unanime dei soci fondatori, in base a quanto previsto dallo statuto. Tuttavia, la Corte ha escluso questa interpretazione, affermando che lo statuto distingue chiaramente tra la determinazione dell’ammontare complessivo degli utili, soggetta all’unanimità, e la ripartizione percentuale tra i soci, per la quale è sufficiente una delibera a maggioranza.
Nel dettaglio, l’articolo 14 dello statuto associativo riserva ai soci fondatori la decisione unanime sull’ammontare degli utili da distribuire, ma non impone vincoli specifici sulla modalità di distribuzione delle percentuali, che possono quindi essere ridefinite a maggioranza, salvo accordi diversi. L’Allegato A al contratto sociale prevedeva inizialmente una distribuzione fissa (due soci con il 32% ciascuno, uno con il 20% e uno con il 16%), ma la Corte ha sottolineato che le percentuali non sono fisse né intoccabili, specie se in passato erano già state modificate annualmente sulla base dei contributi professionali effettivi.
Anche la Corte d’appello di Roma aveva rigettato la tesi del ricorrente, osservando che l’articolo 23 dell’atto costitutivo, relativo alle modifiche dei patti associativi, non si applicava al caso di specie. La Cassazione ha confermato questa lettura, sottolineando che, in assenza di clausole statutarie che richiedano una maggioranza qualificata o l’unanimità, vale la regola generale prevista per le decisioni dell’assemblea dei soci: la maggioranza dei voti per teste.
In conclusione, la decisione chiarisce un punto delicato nella gestione delle associazioni professionali: la possibilità di ridefinire i criteri di distribuzione degli utili in modo dinamico e proporzionato agli apporti effettivi dei singoli professionisti, senza dover passare necessariamente da un voto unanime. Un principio che rafforza l’autonomia negoziale degli studi associati e ne valorizza la flessibilità operativa.
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