Roma, 16 aprile 2025 – L’Unione Nazionale delle Camere Civili esprime forte preoccupazione in merito alla delibera n. 31515 del 25 marzo 2025 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che ha avviato un’istruttoria nei confronti del Consiglio Nazionale Forense (CNF) per la presunta violazione dell’art. 101 TFUE, a seguito dell’introduzione dell’art. 25-bis nel Codice Deontologico Forense.
Secondo l’AGCM, tale norma rappresenterebbe un ostacolo alla libera concorrenza. Una lettura, questa, che l’UNCC considera profondamente errata sia nel merito che nei principi sottesi.
L’avvocato non è un’impresa: è un presidio di giustizia costituzionale
L’equiparazione dell’avvocatura a un’attività economica ordinaria ignora il ruolo pubblico e costituzionale della professione forense, sancito dalla Costituzione e dalla Legge professionale forense (L. 247/2012). L’avvocato è un attore essenziale nella tutela dei diritti e nell’attuazione della giurisdizione, e non può essere ridotto a semplice operatore di mercato.
L’introduzione dell’art. 25-bis è l’attuazione di un preciso vincolo legislativo previsto dalla L. 49/2023, e non frutto di una scelta regolatoria autonoma. L’obiettivo è dare effettività all’equo compenso, strumento voluto dal legislatore per garantire la dignità della prestazione professionale.
La deontologia protegge i diritti, non ostacola la concorrenza
Le misure deontologiche previste non introducono tariffe minime né limitano la libertà dei professionisti, ma garantiscono un livello minimo di equità e qualità nel rapporto tra avvocato e cliente. Si tratta di strumenti etici, non mercantili, volti a tutelare i professionisti più vulnerabili e a contrastare il dumping professionale, che danneggia l’intero sistema giustizia.
L’AGCM sembra ignorare che anche il diritto europeo ammette restrizioni alla concorrenza quando giustificate da esigenze superiori, come la qualità del servizio giuridico e il buon funzionamento del sistema giudiziario. Le regole deontologiche perseguono proprio questi obiettivi.
Equo compenso non è un cartello
L’equo compenso non costituisce un’intesa restrittiva della concorrenza, ma una misura di civiltà giuridica, imposta dalla legge, che garantisce una retribuzione proporzionata alla complessità e al valore sociale della prestazione professionale. Parlare di cartello è fuorviante e privo di fondamento.
“Con questa delibera, – spiega il presidente di UNCC, Alberto Del Noce – l’AGCM rischia di snaturare la funzione costituzionale della professione forense e di favorire le logiche dei poteri economici forti, indebolendo le tutele dei cittadini. L’UNCC ribadisce che la deontologia non è un ostacolo alla concorrenza, ma una garanzia per la giustizia e per i diritti fondamentali”.
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