Il deposito cartaceo in Cassazione è ammesso solo in caso di accertato malfunzionamento dei sistemi informatici del “dominio giustizia”. A stabilirlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 9269 depositata il 9 aprile 2025, che ribadisce la centralità del canale telematico nei processi civili, salvo casi eccezionali.
Il caso riguardava il ricorso di un contribuente calabrese contro una sentenza della Corte di giustizia tributaria regionale, che gli aveva imposto il pagamento dell’Imu. La Sezione tributaria della Cassazione ha tuttavia dichiarato il ricorso improcedibile, senza entrare nel merito, poiché era stato depositato in formato cartaceo nonostante l’obbligo del deposito telematico previsto dall’art. 196 quater, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, applicabile ai procedimenti civili pendenti in Cassazione dal 1° gennaio 2023.
Il ricorrente aveva giustificato il deposito cartaceo adducendo “problemi tecnici” e una personale mancanza di competenze informatiche, definendo la materia “più da ingegnere informatico che da avvocato”. Su questa base aveva ottenuto, in via d’urgenza, l’autorizzazione al deposito cartaceo da parte del Primo Presidente della Corte, che tuttavia ne subordinava la validità alla successiva verifica tecnica.
Verifica che non ha dato ragione al ricorrente. Il CED della Cassazione ha infatti attestato che nei giorni interessati “i sistemi informatici del dominio giustizia erano completamente funzionanti”, escludendo l’esistenza di problemi tecnici oggettivi. Di conseguenza, la Corte ha escluso la sussistenza delle condizioni di urgenza previste dall’art. 196 quater, comma 4, che legittimano il deposito cartaceo.
La Suprema Corte ha anche ricordato che solo eventi tecnici oggettivi e assoluti, non governabili dal difensore, possono costituire impedimenti giustificati al deposito telematico. Non è quindi sufficiente invocare “mere difficoltà” o l’assenza di perizia informatica, poiché queste ultime devono essere fronteggiate con l’ordinaria diligenza professionale.
In conclusione, la mancata iscrizione a ruolo nei termini previsti dall’art. 369, comma 1, c.p.c., è stata ritenuta imputabile alla negligenza della parte ricorrente, la quale – osserva la Corte – non ha nemmeno tentato di avviare la procedura di deposito telematico.
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