La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12283/2025, ha ribadito un principio fondamentale del diritto penale: l’imputabilità di un soggetto è esclusa quando manca la capacità di intendere e volere, anche se solo una delle due capacità è compromessa. In questo caso, la Corte ha annullato la condanna di un imputato accusato di molestie, sottolineando che è necessario un accertamento completo della sua capacità di volere, pur essendo già stata riconosciuta quella di intendere.
L’imputato, infatti, era stato sottoposto a perizia da parte dell’ausiliario del giudice, la quale aveva evidenziato una malattia mentale di tipo paranoide che comprometteva la capacità dell’uomo di resistere agli impulsi. Nonostante ciò, il giudice d’appello aveva confermato la condanna, ritenendo il vizio di mente solo parziale, anche in virtù della sua resistenza a sottoporsi alle cure psichiatriche necessarie.
La Cassazione ha però contestato questa conclusione, rilevando un errore nei ragionamenti dei giudici di merito. Secondo la Corte, il fatto che l’imputato si fosse sottratto alle terapie non poteva giustificare la considerazione di un vizio di mente parziale. Infatti, la perizia aveva chiarito che il disturbo psichiatrico impediva al soggetto di prendere consapevolezza della sua malattia, il che rendeva inutile l’eventuale trattamento terapeutico.
Il vizio di mente, ha affermato la Cassazione, è da considerarsi totale quando una delle due capacità fondamentali (intendere o volere) manca completamente. In tal caso, non è possibile applicare una condanna, poiché il presupposto per l’imputabilità è venuto meno. Questo principio ribadisce che, per escludere l’imputabilità, è sufficiente la mancanza anche di una sola delle due capacità, senza dover considerare fattori esterni come il rifiuto delle cure.
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