Il concordato preventivo biennale (Cpb), introdotto per combattere l’evasione fiscale tra lavoratori autonomi e imprese, si sta rivelando un “mezzo flop”. Lo sostiene l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che mette in dubbio la portata dell’evasione stimata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef). Secondo l’analisi, la realtà del tax gap in Italia sarebbe molto diversa da quella dipinta dai dati ufficiali.
Evasione sovrastimata e scetticismo sui numeri ufficiali
Stando ai dati Mef, il tax gap complessivo, cioè la differenza tra le imposte dovute e quelle effettivamente versate, sarebbe pari a 82,4 miliardi di euro. Di questi, 29,5 miliardi deriverebbero dall’evasione dell’Irpef da parte degli autonomi, con un tasso stimato vicino al 70%. Numeri che la Cgia giudica inattendibili: nel 2021, artigiani e commercianti avrebbero dichiarato mediamente 33mila euro lordi annui. Se davvero avessero evaso il 70%, per rispettare pienamente le richieste fiscali avrebbero dovuto dichiarare il doppio, circa 74mila euro annui, una cifra che appare irrealistica.
Inoltre, le stime ufficiali non considerano ampie categorie di autonomi come i soggetti in regime “de minimis”, le imprese agricole, i professionisti privi di autonoma organizzazione e il settore dei servizi domestici. Secondo la Cgia, questo ridimensiona la portata del fenomeno, che appare più contenuto di quanto riportato.
Risultati del concordato preventivo: aspettative disattese
A confermare l’efficacia limitata del Cpb sono i numeri delle adesioni. Nel 2023, circa 500mila partite Iva hanno sottoscritto il concordato, pari all’11% del totale dei 4,5 milioni di lavoratori autonomi e imprese potenzialmente interessati. Questo ha fruttato all’erario 1,3 miliardi di euro, rispetto ai 2 miliardi previsti inizialmente. Ogni contribuente aderente ha versato mediamente 2.600 euro.
I controlli non mancano
Nel corso del 2023, l’attività di verifica fiscale ha coinvolto 3,7 milioni di soggetti, tra lettere di compliance, accertamenti e ispezioni, raggiungendo il 65% delle attività imprenditoriali. Questo dimostra che l’amministrazione fiscale è tutt’altro che indulgente, ma secondo la Cgia, ciò non significa che l’evasione sia al livello stimato.
Una realtà diversa da quella narrata
La Cgia sottolinea che la maggior parte degli autonomi opera in condizioni simili a quelle di un lavoratore dipendente, con redditi spesso modesti. “Paragonarli a grandi evasori distorce la realtà”, evidenziano gli artigiani di Mestre, chiedendo un approccio più calibrato e basato su numeri concreti.
Il dibattito sul tax gap e sull’efficacia delle misure di contrasto all’evasione rimane aperto. Tuttavia, secondo la Cgia, per migliorare il rapporto tra fisco e contribuenti, servono strumenti più mirati e un’analisi che tenga conto delle peculiarità del mondo degli autonomi.
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