Una sentenza storica è stata emessa dal Tribunale di Bologna, sezione lavoro, che riconosce il diritto al risarcimento dei familiari di un lavoratore deceduto per suicidio a seguito della diagnosi di mesotelioma, causato dall’esposizione all’amianto.
Il Tribunale ha stabilito che il suicidio, pur essendo un gesto estremo determinato da molteplici fattori, non interrompe il nesso causale tra la malattia professionale e il decesso. È sufficiente, infatti, che esista un legame diretto tra il mesotelioma e la depressione che ha portato al suicidio per configurare la responsabilità dell’azienda.
La decisione del Tribunale
I giudici bolognesi hanno sottolineato come la malattia professionale, con il suo impatto devastante sulla vita del lavoratore e dei suoi familiari, possa innescare gravi disturbi psichiatrici, tra cui la depressione. In questo caso specifico, il Tribunale ha ritenuto che la malattia professionale abbia rappresentato un fattore determinante nel causare il suicidio.
Un precedente importante
Questa sentenza rappresenta un importante precedente giurisprudenziale, in quanto riconosce la complessità dei casi in cui il decesso avviene per suicidio a seguito di una malattia professionale. Il Tribunale di Bologna ha affermato che non è sufficiente individuare una singola causa scatenante il suicidio, ma è necessario valutare l’insieme dei fattori che hanno contribuito al tragico epilogo.
Le implicazioni della sentenza
La sentenza del Tribunale di Bologna apre nuove prospettive per le vittime dell’amianto e le loro famiglie. In futuro, sarà più facile ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento anche nei casi in cui il decesso avvenga per suicidio a seguito di una malattia professionale causata dall’esposizione all’amianto.
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