Secondo l’articolo 1138 del Codice Civile, le norme del regolamento condominiale non vietano di detenere o possedere animali domestici. E’ indubbio, tuttavia, che la coabitazione con gli umani non sia sempre affar semplice, e per questo motivo la Cassazione è intervenuta più volte su questo argomento.
Con la recente ordinanza 1823/2023 depositata lo scorso 20 gennaio si affronta un caso interessante. La pronuncia conferma la sentenza della Corte d’Appello che aveva precedentemente condannato un soggetto alla detenzione, nella sua proprietà, di non più di 6 cani.
Inoltre, il soggetto avrebbe dovuto risarcire il danno che è stato causato ai vicini di casa per la sussistenza del cattivo odore e dei rumori, vista la presenza di un numero notevole di gatti e cani.
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La Suprema Corte precisava innanzitutto che «il ricovero di un numero elevato di esemplari di animali genera un’immissione che non è generata da un uso ordinario per civile abitazione, bensì è un’attività di custodia e cura degli animali di competenza del Tribunale e non del Giudice di pace».
Secondo i giudici non si rileva, dunque, il carattere non commerciale di tale attività, vista l’assenza di scopo di lucro.
Per quanto riguarda il superamento della tollerabilità normale di odori e rumori prodotti, viene precisato che è ammissibile anche la prova testimoniale, e non soltanto il dato tecnico. La stessa, infatti, ha come oggetto fatti caduti al di sotto della percezione diretta del testimone, e non costituisce una valutazione soggettiva.
In questo caso, tuttavia, il giudice aveva la facoltà di far cessare le immissioni moleste attraverso l’ordine di adozione di accorgimenti idonei all’eliminazione della situazione pregiudizievole.
In questi rientra la riduzione del numero di animali detenuti: 4 è il numero indicato nella pronuncia di primo grado e 6 nella sentenza d’appello. Numeri compatibili, a quanto pare, con le dimensioni del giardino e dell’abitazione. Oltre tale numero, si configura una reale attività di custodia di animali.
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