29 Luglio 2025 - GIUSTIZIA | Il caso

Tredici anni per notificare una sentenza: il cortocircuito che svuota la giustizia

A Prato una condanna definitiva per rapina e resistenza si estingue per prescrizione dopo oltre un decennio. Non per clemenza o errore, ma per inerzia burocratica. E intanto il ministro Nordio guarda altrove

Una sentenza definitiva che resta in un cassetto per tredici anni. Una pena che non verrà mai scontata. Un debito con la giustizia che non sarà mai saldato. È accaduto a Prato, ma potrebbe accadere ovunque in Italia. Un uomo condannato nel 2012 per rapina aggravata e resistenza a pubblico ufficiale non sconterà nemmeno un giorno di carcere. E la multa accessoria da 600 mila euro rimarrà una cifra senza valore, mai riscossa. Non per un vizio di forma o per un colpo di scena processuale. Ma semplicemente perché nessuno ha notificato la sentenza fino a giugno 2025. Quando ormai era troppo tardi.

La vicenda, documentata dagli atti della Procura e dell’Ufficio esecuzioni penali, non è un’anomalia isolata. È l’emblema di un sistema allo stremo, in cui la fase più delicata – l’attuazione concreta della giustizia – rischia di naufragare tra carenze d’organico, inefficienze strutturali e colpevoli ritardi. Nella sola cancelleria del Tribunale di Prato, giacciono oltre diecimila sentenze in attesa dell’attestazione di irrevocabilità: un passaggio tecnico fondamentale senza il quale le condanne non possono essere trasmesse ai magistrati dell’esecuzione. Rimangono così sospese in una sorta di limbo burocratico, dove l’azione dello Stato si arresta prima di diventare effettiva.

Ed è in quello stesso limbo che si smarriscono reati gravi, gravissimi: violenze sessuali, abusi su minori, corruzione, truffe ai danni della pubblica amministrazione. Tutto destinato alla prescrizione. Tutto sottratto al diritto delle vittime a ottenere giustizia.

A denunciare con forza questa paralisi è la presidente del Tribunale di Prato, Lucia Schiaretti. In carica da un anno, ha portato la questione sul tavolo del Consiglio superiore della magistratura e al Ministero della Giustizia. Ha descritto una pianta organica dimezzata, un personale amministrativo insufficiente, un arretrato ingestibile che si accumula giorno dopo giorno. Ha spiegato, con parole nette, che la produzione di nuove sentenze diventa una beffa se nessuno è in grado di renderle operative. Ma la risposta delle istituzioni è stata il silenzio. Nessun piano straordinario, nessuna task force, nessun intervento concreto per evitare che la giustizia diventi carta straccia.

Intanto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, concentra i suoi sforzi su tutt’altri fronti. Al centro della sua agenda ci sono la separazione delle carriere, la riforma del CSM, la ridefinizione dei rapporti tra giudici e pubblici ministeri. Riforme che – assicura – restituiranno efficienza e imparzialità al sistema. Ma la domanda è lecita: basterà separare le funzioni per evitare che una sentenza resti dimenticata per tredici anni? Basterà ridisegnare il volto del Consiglio superiore della magistratura per garantire che una condanna venga eseguita?

La risposta, per chi conosce la macchina giudiziaria dall’interno, è no. Perché il vero cortocircuito non è giuridico, ma amministrativo. Non si tratta di un eccesso di potere da parte dei magistrati, ma di una drammatica carenza di risorse nei gangli vitali del sistema: le cancellerie, gli uffici esecuzioni, il personale tecnico. A Prato, i giudici hanno svolto il loro compito fino in fondo. È l’apparato che si è inceppato, lasciando che il tempo cancellasse ciò che il processo aveva accertato.

E allora il nodo è politico. Quale idea di giustizia ha questo governo, se lascia che le sentenze si prescrivano per mera dimenticanza? Che rispetto mostra per le vittime, se i colpevoli restano impuniti per mancanza di personale? Se davvero la giustizia è un servizio essenziale per lo Stato di diritto, come può uno Stato tollerarne l’interruzione per oltre un decennio senza intervenire?

La risposta sta nei fatti, non nelle dichiarazioni. E i fatti raccontano una realtà amara: se un servizio si blocca per tredici anni e nessuno se ne accorge, allora non è più un disservizio. È un fallimento sistemico. E di fronte a questo fallimento, la riforma delle carriere non basta. Serve una presa d’atto urgente e un piano operativo. Perché senza esecuzione, la giustizia resta un’illusione. E chi ha subito un torto, rischia di rimanere solo.


LEGGI ANCHE

indirizzo pec servicematica

Manca l’indirizzo PEC del difensore. La notificazione è comunque valida

Un legale difensore non ha l’obbligo di indicare negli atti il proprio indirizzo PEC, ma non può nemmeno indicarne uno diverso da quello comunicato al…

Indagini digitali, stretta sui colossi del web: nuovo disegno di legge in Senato

Obblighi più severi per gli intermediari digitali: multe, reati penali e giurisdizione estesa per chi ostacola la giustizia

Negli uffici pubblici i dipendenti non potranno indossare il velo islamico

Una sentenza della Corte di Giustizia Ue ha stabilito che negli uffici pubblici sarà legale vietare ai dipendenti di indossare qualsiasi segno esplicito di appartenenza…

TORNA ALLE NOTIZIE

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto