Non basta la mera presenza di minori durante la commissione di atti persecutori per applicare l’aggravante prevista dall’art. 61, n. 11-quinquies del Codice penale. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 27288 ha ribadito la necessità di distinguere tra le aggravanti comuni e quelle specifiche nel contesto dei reati di stalking.
Nel caso esaminato, l’imputato era stato condannato con l’aggravante di aver commesso il fatto alla presenza di minori. La circostanza era stata desunta dal fatto che la vittima degli atti persecutori – la compagna dell’uomo – si trovasse spesso in compagnia dei propri figli minorenni al momento delle condotte illecite. Tuttavia, la Corte ha annullato la parte della sentenza relativa all’aggravante, disponendo il rinvio per la rideterminazione della pena.
Secondo i giudici della Suprema Corte, la norma generale dell’art. 61, n. 11-quinquies c.p., che prevede un aumento di pena per i reati colposi commessi in presenza di minori, non può essere applicata ai reati dolosi come lo stalking, previsto dall’art. 612-bis c.p., che tutelano la libertà morale della persona.
Il legislatore, infatti, ha già previsto una specifica aggravante per questi casi al comma 3 dello stesso art. 612-bis, circoscrivendo l’aggravio di pena all’ipotesi in cui la vittima del reato sia essa stessa un soggetto minorenne. Questo significa che, nei casi in cui il minore non sia bersaglio diretto delle condotte persecutorie, ma si limiti ad assistervi, non può essere contestata alcuna aggravante, neppure quella generale richiamata dal giudice di merito.
La pronuncia della Cassazione ha quindi valore chiarificatore, in un ambito dove la sovrapposizione tra norme generali e speciali può generare incertezze interpretative. Il principio affermato è netto: nei reati di stalking, l’aggravante per la presenza di minori si applica solo se la condotta offensiva ha come destinatario diretto una persona minorenne. Non è sufficiente, cioè, che il minore sia testimone degli atti, se non vi è stato un coinvolgimento attivo o un’intenzionalità diretta nei suoi confronti.
La decisione si inserisce in un più ampio quadro di tutela dei diritti degli imputati rispetto al principio di legalità e tassatività delle aggravanti, ma pone al tempo stesso interrogativi sul ruolo della vulnerabilità dei minori come soggetti indirettamente coinvolti nei conflitti familiari o nelle relazioni tossiche.
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