Il reato di “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”, art. 659, comma 1 del codice penale, è diventato procedibile a querela grazie alla Riforma Cartabia. La Corte, dunque, dovrà esaminare i ricorsi agli effetti penali.
Questo è quanto ribadito dalla Suprema Corte, sentenza 16570 del 19 aprile 2023. Si stabilisce che non ricorre il difetto di querela, come richiesto dall’art. 3 del DL 150/2022, poiché, per quanto riguarda il reato per il quale si procede, sono rimaste ferme costituzioni di parte civile. Una delle parte civili, inoltre, ha presentato le proprie conclusioni durante l’udienza.
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Infatti, secondo un principio delle Sezioni Unite, «la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione».
Dunque, «può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio». Di conseguenza, comportamenti e atti si possono ritenere equivalenti a querela se la proposizione dell’ultima è diventata necessaria alle disposizioni normative sopravvenute durante il giudizio (Cassazione 40250/2018 e DL 10 aprile 2018, n.36).
Oltre a ciò, la Cassazione aggiunge che a tale principio deve essere collegata una «consolidata elaborazione giurisprudenziale». Si cita la sentenza 5193/2019, che si riferisce ad una condanna per appropriazione indebita aggravata, procedibile a querela successivamente alla sentenza di primo grado. In relazione a quest’ultima la Corte rileva che la sussistenza di tale condizione di procedibilità si poteva desumere dalla riserva di costituzione di parte civile da parte della persona offesa.
Si chiarisce anche che la parte civile è legittimata ad impugnare ogni sentenza di proscioglimento e che ha interesse specifico ad impugnare una sentenza di assoluzione poiché se essa diventa irrevocabile «ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile per le restituzione e i risarcimento del danno».
«Deve ritenersi consentito», quindi, «che la parte civile proponga appello avverso una sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in relazione a reato in quel momento già prescritto per ottenerne la riforma agli effetti civili in sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e che il giudice, in accoglimento del precisato gravame, decida in conformità con tale richiesta».
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