1 Febbraio 2023

Riforma Cartabia: i problemi del Diritto all’oblio

Dal 2023 sono entrate in vigore le nuove norme sul diritto all’oblio, collegate alla riforma della Giustizia di Marta Cartabia.

Le nuove regole prevedono che una persona che è stata assolta in un processo possa chiedere che nella sentenza venga indicato l’obbligo per i motori di ricerca di de-indicizzare gli articoli di giornale o qualsiasi contenuto che riguarda il tema.

Le nuove norme sul diritto all’oblio, che si trovano nell’art 64-ter del Codice penale della riforma Cartabia, hanno sollevato alcune obiezioni. Non sul principio in sé, ma sulle sue applicazioni pratiche.

Tali dubbi, ad un mese dall’entrata in vigore dalla riforma, non sono ancora stati completamente sciolti. L’attenzione, infatti, per il momento è tutta concentrata sulle intercettazioni, che hanno invaso completamente il dibattito pubblico in materia di regole giudiziarie.

L’articolo 64-ter recita:

La persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione può richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

La persona assolta, la cui posizione è stata archiviata, dunque, può richiedere che nella sentenza venga inserito il divieto a indicizzare tali dati online. Oppure a deindicizzarli, se circola già qualcosa.

Precisa Nicole Monte, avvocata specializzata in diritto e digitale: «La riforma Cartabia si applica in riferimento al processo penale e in caso di sentenza di proscioglimento, assoluzione o non luogo a procedere. All’esito del processo, con questi tre provvedimenti, si può richiedere la de-indicizzazione».

Sembra semplice, detta così. La legge, tuttavia, presenta alcune sfumature che rendono complessa la valutazione degli effetti. Il diritto all’oblio chiama in causa differenti salvaguardie e tutele della società.

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Enrico Costa (Terzo Polo), ispiratore di tale proposta, dichiara che: «Per me da un lato c’è il dovere dello Stato di indagare in merito a determinati fatti e dall’altro il dovere di fare in modo che chi è innocente torni a essere la stessa persona che era prima di finire nell’ingranaggio giudiziario».

Al tempo stesso, esiste il diritto ad informare ma anche di essere informati, anche nei confronti del mondo della giustizia.

Tuttavia, c’è anche da sottolineare che il diritto all’oblio è garantito in Italia già dal 1993, grazie all’art. 52 dell’ex Codice privacy, ma anche dall’art. 17 del Gdpr.

Continua Costa: «finora la de-indicizzazione era lasciata alla discrezionalità del soggetto a cui la si richiedeva. Rendere la norma specifica sui procedimenti giudiziari significa dire che lo Stato, con una sua legge, riconosce che se la persona risulta innocente, le notizie sul suo procedimento perdono di interesse pubblico e si giustifica la de-indicizzazione».

Tuttavia, già il Codice privacy considerava la richiesta di preclusione dell’indicazione delle generalità della persona durante l’utilizzo della sentenza a causa di motivi di comunicazione o informazione.

La de-indicizzazione, inoltre, non comporta proprio la cancellazione della notizia, ma l’esclusione delle chiavi di ricerca di tale informazione. Se Mario Rossi è stato prosciolto per truffa, gli articoli non dovranno cancellare il nome, ma i motori di ricerca dovranno escludere la chiave Mario Rossi + truffa.

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Questa cosa, di fatto, comporta una scomparsa dal radar delle informazioni, se tali informazioni vengono ricercate con quella chiave. «Non si tratta di cancellare la notizia ed è chiaro che per personalità di rilievo rimane».

Si parla, infatti, «di de-indicizzazione, e non di rimozione. Probabilmente non va tolto tutto, ma la norma indica anche “sulla rete internet”». In confronto, l’art. 17 del Gdpr sembra decisamente più potente. Il diritto all’oblio, infatti, si applica anche in caso di condanna, e sempre direttamente sul pezzo, non soltanto sulla ricerca.

Inoltre, per il momento, la de-indicizzazione si applicherebbe soltanto sui risultati che appaiono in Italia, e non in quelli all’estero.

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Molto dipende dal modo in cui verrà applicata la norma. Per fare alla svelta, il rischio è che, a causa dell’ignoranza dei mezzi tecnici o per il timore di incappare in cause troppo lunghe venga cancellato tutto il contenuto.

Per l’avvocato Giuseppe Vaciago «se si vuole rispettare la norma, basta de-indicizzare la specifica parte e non tutto l’articolo. Dovremo prestare attenzione a come si applica tecnicamente».

Secondo Guido Scorza, invece, del Garante della privacy, bisogna «capire quanto è automatico l’ordine. Il diritto all’oblio è stato sin qui una questione di bilanciamento tra il diritto del singolo a voltar pagina e quello della collettività a sapere. Sarebbe opportuno che questo bilanciamento non venisse meno».

Per concludere

Dunque, il diritto all’oblio previsto dalla riforma Cartabia si potrebbe tradurre in un nulla di fatto. Dato che la scelta è a discrezione dell’imputato, qualcuno potrebbe preferire parlare della sua assoluzione, e non cancellare ogni riferimento.

Matteo Flora, esperto di reputazione online ed imprenditore digitale, in un suo seminario ha spiegato che «a livello reputazionale il fatto di essere stato impugnato, indagato, chiamato a deporre e ascoltato nell’ambito di un processo è comunque peggiorativo. Le persone sono propense a credere a quello che leggono la prima volta. E non è detto che leggano una seconda versione. Oltre a questo, un’accusa ipotetica ha sempre più presa e notorietà di un’assoluzione reale».

Per questo, chi genera poca attenzione nei media, rischia di essere marchiato online per tutta la vita. «La parte coperta della Cartabia ha come idea alla base quella di evitare la gogna mediatica e riguarda solo le ricadute del processo penale. L’assoluzione come notizia danneggia comunque».

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