Reato di diffamazione: addio al carcere, solo sanzioni economiche

Una rivoluzione in tema di diffamazione. Alberto Baldoni, presidente della commissione Affari costituzionali, firma una nuova proposta di legge per modificare il reato di diffamazione: niente più carcere, solo sanzioni economiche

Oltre alla carta stampata, vengono presi in considerazione tutti i media, come tv, radio e il mondo del web. Chi scrive, dunque, non rischierà più il carcere, poiché verrà assicurata «una celere tutela» nei confronti delle persone che si ritengano offese da ogni mezzo di diffusione, tenendo sempre ben saldo «il diritto di cronaca e il segreto professionale dei giornalisti sulla fonte delle notizie».

Il fine è l’approvazione di una legge che tenga conto di ogni sfaccettatura del reato di diffamazione e la creazione di una nuova legge che non si rivolga soltanto ai giornalisti, ma anche a professionisti, politici, e ad ogni persona che incappi nel reato di diffamazione.

Spiega Balboni: «Abbiamo presentato questo ddl per rimettere mano alla disciplina della diffamazione, in particolare alla diffamazione a mezzo stampa. C’è da recepire alcuni orientamenti della giurisprudenza europea e anche di quella della Suprema Corte. La parte più rilevante del progetto di legge sta nella previsione della non punibilità dell’autore della presunta diffamazione ogni qual volta viene pubblicata una smentita».

Continua: «Se chi ha pubblicato una notizia diffamatoria della reputazione altrui si rende conto di aver sbagliato è giusto che abbia la possibilità di riparare». Invece, se «chi sbaglia vuole perseverare nell’errore è giusto che vada a processo. Si tratta di uno stimolo che la politica vuole offrire per una informazione sempre più corretta. Una forma di autodisciplina».

L’intenzione è quella di mettere nero su bianco un orientamento che, in realtà, fa già parte del nostro ordinamento giuridico, «perché le regole sono state già ampliate anche in occasione della Riforma Cartabia. Oggi, per tutti i reati perseguibili a querela, se l’autore del reato risarcisce il danno, il giudice, se ritiene il risarcimento commisurato al danno, proscioglie e dichiara estinto il reato per avvenuta riparazione del reato. È un caso in cui si può applicare la giustizia riparativa».

La proposta di legge parla di nuove procedure riguardo ai tempi ma anche ai meccanismi di Rettifica dell’interessato, sulle procedure di conciliazione e sulle sanzioni nei casi di inadempienza.

In caso di condanna e di processo, il ddl prevede  delle pene pecuniarie che partono da 5.000 e arrivano a 10.000 euro. In caso di attribuzione di uno specifico fatto che il giornalista sapeva di essere falso, le pene aumentano da 10.000 a 50.000 euro. La pena accessoria, invece, corrisponde nella pubblicazione della sentenza sul giornale.

Dinamiche complesse

Il tema, in realtà, è molto più complesso, e in particolare riguarda le querele temerarie rivolte contro i giornalisti. Gli osservatori del mondo dei media, da anni segnalano che la libertà di stampa viene messa in discussione proprio a causa di querele infondate, quelle che persone con potere presentano a costo zero contro i giornalisti che pubblicano delle inchieste, al fine di intimidirli e ma anche di prosciugarne le risorse economiche.

Un freelance, se rileva una querela che ritiene infondata, non è in grado di fronteggiare personalmente un eventuale condanna, soprattutto per quanto riguarda i costi. Per questo, di solito si preferisce pubblicare una rettifica, evitando in tal modo di incorrere in lunghi e costosi iter giudiziari.

Troviamo un passaggio nel ddl che introduce una proposta di punizione per le querele temerarie. Il giudice, infatti, potrebbe «condannare il querelante al pagamento di una somma da 2.000 a 10.000 euro a favore della cassa delle ammende», nei casi di dolo o di colpa grave.

La Commissione Europea, infatti, lo scorso aprile, ha presentato una raccomandazione al fine di incoraggiare tutti i Paesi Ue all’allineamento delle norme per la tutela dei giornalisti contro cause infondate, nei procedimenti civili e in quelli penali.

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