Redazione 18 Giugno 2025

Pronto soccorso, se l’attesa diventa danno: quando si ha diritto al risarcimento

Attese interminabili in pronto soccorso, anche in condizioni di emergenza, sono purtroppo una realtà diffusa in molte strutture italiane. Ma cosa accade se proprio quel ritardo contribuisce a peggiorare la salute di un paziente, causando complicanze, invalidità o addirittura il decesso? La legge prevede delle tutele precise per queste situazioni, ma è fondamentale conoscere i presupposti che permettono di ottenere un risarcimento.

Un diritto costituzionale e un obbligo di tempestività

La salute è un diritto fondamentale garantito dall’articolo 32 della Costituzione, che impone al Servizio Sanitario Nazionale di garantire prestazioni rapide ed efficaci in base alla gravità dei casi. Nei pronto soccorso, infatti, vige il sistema di triage, che assegna a ogni paziente un codice colore in base all’urgenza clinica, determinando i tempi di attesa massimi consentiti.

A definire gli standard minimi che ogni struttura deve rispettare è il Decreto Ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015, che stabilisce regole su organizzazione, personale, tecnologie e tempi di intervento. Quando queste soglie vengono superate senza giustificato motivo e ne derivano danni alla salute, la struttura può essere chiamata a rispondere in sede civile.

Quando il ritardo diventa responsabilità sanitaria

Non ogni attesa configura automaticamente una violazione. Tuttavia, se il tempo di intervento eccede quello previsto per il codice triage assegnato e da ciò derivano conseguenze evitabili per il paziente, allora si configura una responsabilità della struttura sanitaria.

Affinché si possa ottenere un risarcimento, devono sussistere tre elementi:

  • un comportamento omissivo o ritardato da parte della struttura;
  • un danno concreto alla salute del paziente;
  • un nesso causale dimostrabile tra il ritardo e il danno subito.

Il sistema di triage diventa, quindi, il principale riferimento per stabilire se il comportamento della struttura sia stato inadeguato.

Chi può chiedere il risarcimento e a chi rivolgersi

A poter agire sono il paziente direttamente coinvolto oppure, in caso di decesso o danni molto gravi, i suoi familiari stretti. La responsabilità non ricade sul singolo medico, ma sull’intera organizzazione sanitaria, che deve garantire personale sufficiente, protocolli efficaci e strutture adeguate. Carenze organizzative e ritardi ingiustificati possono dunque costituire motivo di risarcimento, purché dimostrabili.

Quali prove servono e quali danni sono risarcibili

Per dimostrare il danno subito è fondamentale raccogliere documenti come il referto del pronto soccorso, il codice triage assegnato, i tempi di attesa e presa in carico, oltre alla cartella clinica e a eventuali perizie mediche. Spesso è necessario il supporto di un medico-legale per stabilire se il danno fosse evitabile.

Il risarcimento può riguardare:

  • danno biologico (peggioramento della salute);
  • danno morale (sofferenza psicologica);
  • danno patrimoniale (spese mediche e perdita di reddito);
  • danno esistenziale (riduzione della qualità della vita).

In caso di decesso, i familiari possono richiedere il risarcimento per la perdita del rapporto affettivo e per i danni economici e morali subiti.

I termini per agire

Il diritto al risarcimento non è eterno. La richiesta va presentata:

  • entro 10 anni se si procede per responsabilità contrattuale (in base al rapporto fiduciario che si instaura tra paziente e struttura sanitaria);
  • entro 5 anni se si agisce per responsabilità extracontrattuale (illecito civile).

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