I ventenni della generazione Z (1997-2012) mettono la ricerca del benessere davanti al lavoro. Sono sempre più richiesti dal mercato, ma sempre meno disposti a sottostare alle condizioni insoddisfacenti che potrebbero incontrare nel mondo del lavoro. Vediamo insieme come la Gen Z sta cambiando le cose
L’approccio dei ventenni di oggi nei confronti del mondo del lavoro potrebbe sembrare poco ambizioso e legato ad una visione del mondo che mette la felicità e il benessere sopra di tutto. Meglio disoccupati, dunque, che infelici.
Tutto ciò di fronte ad una sempre maggior richiesta da parte del mercato, che li ricerca ardentemente per mettere a frutto i loro naturali talenti digitali. Un disequilibrio tra domanda ed offerta destinato ad aumentare nei prossimi anni. Infatti, il mondo del lavoro ha bisogno di competenze collegate al digital e alle nuove tecnologie, nonostante il minor desiderio da parte dei giovani di soddisfare tale richiesta.
Chi sono i giovani della Gen Z
La Gen Z include tutte le persone nate dopo il 1997 fino al 2012 – anche se in realtà non esiste una formula universale in grado di definire le diverse generazioni.
A prescindere da tutto, possiamo affermare che l’aspetto centrale che caratterizza la Gen Z è l’utilizzo della tecnologia, in particolare dei social media. Sono chiamati, non a caso, “nativi digitali”.
Figli della Generazione X (1965-1980), andranno a costituire una parte importantissima della forza lavoro degli anni a venire. Le aziende dovranno inevitabilmente rivedere le loro strategie di recruiting, per adattarle il più possibile alle necessità dei giovani d’oggi.
La Gen Z, rispetto alle generazioni precedenti, è particolarmente attenta al peso che danno i datori di lavoro all’inclusione e all’uguaglianza. Sono persone caratterizzate da un fortissimo impulso di lottare per i diritti di tutti.
I giovani sono senza ombra di dubbio molto più aperti e flessibili a livello mentale, privi, dunque, da qualsiasi categorizzazione. Di conseguenza si aspettano che l’azienda in cui lavorano o lavoreranno rispecchi questa mentalità.
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Il mondo del lavoro ha bisogno della Gen Z
Secondo le stime del “Rapporto sulle previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine”, tra il 2022 e il 2026 è previsto un fabbisogno totale compreso tra 4,1 e 4,4 milioni di lavoratori.
Il rapporto afferma che le «professioni specialistiche e tecniche, con un fabbisogno intorno a 1,6 milioni di occupati nel quinquennio, rappresenteranno quasi il 41% del totale del fabbisogno occupazionale, confermandosi in crescita rispetto alle stime precedenti».
Al tempo stesso, saranno richieste sempre di più competenze green collegate ai processi di transizione verde e digitale. Secondo il rapporto: «Nei prossimi 5 anni le imprese e il comparto pubblico richiederanno il possesso di attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale a 2,4 milioni di occupati e per il 60% di questi tale competenza sarà richiesta di livello elevato».
Vecchie e nuove professioni
Dopo queste premesse, non è complicato capire perché le attività lavorative del futuro richiederanno molte competenze a livello di interpretazione dei dati e nei processi di analisi. Parliamo di specializzazioni matematiche, informatiche e collegate all’industria 4.0.
Bisognerà comprendere anche come le vecchie professioni, conosciute e sperimentate (SEO, tecniche di comunicazione, sviluppatore software) si affiancheranno alla richiesta delle nuove figure, ad oggi ancora sconosciute (manager di avatar virtuali, e-commerce manager, growth hacker).
Chi meglio della Gen Z potrebbe interpretare al meglio queste professioni? Eppure mancano all’appello più di 38mila giovani per ogni anno di previsione. Cosa non li convince a buttarsi nella mischia?
La felicità prima di tutto
Secondo uno studio di Randstad del 2022, effettuato su un campione di 35mila persone con età tra i 18 e i 67 anni, emerge una realtà completamente diversa rispetto a quella a cui siamo stati abituati. Chi fa parte della generazione X, ad esempio, è cresciuto nell’ottica di far coincidere il lavoro con il sacrificio.
Secondo questo rapporto, Gen Z e Millennials (1981-1996) mettono al primo posto la felicità. Il 56% degli intervistati ha affermato che lascerebbe il lavoro se ostacolasse il loro «godersi la vita».
La ricerca della felicità e del benessere è stata sicuramente accentuata dalla pandemia e ora dalla guerra in Ucraina. Ma questo obiettivo, per i più giovani, si traduce anche nel desiderio di stabilire un dialogo e un’affinità con il proprio datore di lavoro, anche per quanto riguarda i valori sociali delle cause sostenute.
In particolar modo, il 43% degli intervistati afferma di essere disposto a rifiutare un lavoro se si ritrova davanti ad una mancanza di volontà di rendere l’ambiente lavorativo più inclusivo.
Meglio disoccupati che con un lavoro che non li fa stare bene.
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