Parcelle e liquidazioni delle spese processuali: un tema sempre attuale e tornato di recente all’attenzione grazie a una sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, depositata l’11 luglio 2025 (n. 19049). I giudici di Piazza Cavour hanno ribadito un principio fermo: nella liquidazione a carico del soccombente, il giudice non può mai ridurre il compenso del difensore oltre il 50% rispetto ai valori medi dei parametri forensi stabiliti dal Ministero della Giustizia.
Si tratta di una soglia di equità che trova fondamento diretto nella Costituzione e nel principio dell’equo compenso fissato dall’articolo 13-bis della legge n. 247 del 2012, introdotto con il decreto-legge n. 148 del 2017. La norma dispone che il compenso si presume equo se conforme ai parametri ministeriali; liquidazioni irrisorie o meramente simboliche – avverte la Cassazione – mortificano la professionalità e sviliscono la funzione difensiva, in contrasto con la dignità della professione forense e con il diritto di difesa dei cittadini.
Un valore pubblico da proteggere
La pronuncia si inserisce nel quadro di tutela dell’autonomia professionale e della qualità dell’attività difensiva. Il legislatore, già dal 2008, ha voluto rafforzare la protezione degli avvocati anche nei confronti di “contraenti forti” — banche, assicurazioni e grandi imprese — introducendo norme sull’equo compenso. Con il decreto 148/2017 si è voluto assimilare i parametri minimi fissati dal decreto ministeriale alla misura dell’equo compenso, rimuovendo ogni discrezionalità in eccesso ai giudici e rafforzando la tutela dei professionisti.
La questione europea: il caso bulgaro non fa testo
A complicare il quadro era intervenuta, a gennaio 2024, una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (C-0438/22), che aveva dichiarato contraria ai principi di concorrenza europei una normativa bulgara che imponeva minimi obbligatori per gli avvocati. Tuttavia, osserva la Cassazione, il contesto italiano è radicalmente diverso. I parametri forensi nazionali sono infatti approvati con decreto ministeriale, previo parere del Consiglio di Stato, e lasciano al giudice margini di discrezionalità più ampi nella liquidazione, oltre alla possibilità per le parti di concordare liberamente compensi diversi.
Non solo: la normativa italiana tutela anche un interesse di ordine pubblico, assicurando che il compenso minimo dell’avvocato non scenda mai sotto una soglia dignitosa, in modo da garantire l’indipendenza della funzione difensiva e la qualità della prestazione professionale. Secondo la Cassazione, la sentenza europea non può sovvertire questa impostazione nazionale né essere automaticamente applicata al nostro ordinamento.
Un indirizzo ormai consolidato
La sentenza del luglio 2025 conferma la direzione già tracciata dal legislatore e dalla giurisprudenza amministrativa. Non a caso, il decreto Giustizia n. 37/2018 ha eliminato dal testo del precedente decreto 55/2014 la formula “di regola”, che consentiva al giudice di derogare ai minimi. Una scelta deliberata per rimuovere ogni incertezza interpretativa e valorizzare il ruolo degli avvocati nel sistema giudiziario.
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