7 Agosto 2025 - TERRE PROMESSE | Nuovi orizzonti

L’Oriente è il nuovo Occidente: i giovani italiani migrano dove c’è futuro

Tramonta il mito dell’America e dell’Europa tradizionale: oggi la generazione under 30 guarda all’Australia e al Sud-Est asiatico come nuovi centri di opportunità, mobilità e innovazione. Una rivoluzione culturale che rilegge il pianeta

Dimenticate New York, Londra e Berlino. Per i giovani italiani la nuova terra promessa è a Oriente: Sydney, Singapore, Jakarta, Brisbane. Secondo le ultime rilevazioni, il 78% dei laureati italiani vuole lasciare il Paese, e non per inseguire sogni americani o nostalgie europee, ma per costruire altrove un futuro che qui appare irraggiungibile.

Il dato più sorprendente? L’Est, fino a pochi anni fa percepito come “altro”, oggi incarna il dinamismo e l’innovazione che un tempo appartenevano all’Occidente. L’area del Pacifico, con l’Australia come faro e le metropoli del Sud-Est asiatico in rapida ascesa, sta ridefinendo i confini geografici delle ambizioni giovanili.

Il fascino dell’altrove: non solo fuga, ma scelta razionale

Non si tratta di una fuga istintiva, ma di una decisione ponderata, organizzata, quasi progettuale. I giovani italiani – e soprattutto le giovani – non si muovono per capriccio, ma per rispondere a bisogni precisi: mobilità, benessere, accesso a un mondo del lavoro flessibile e creativo, qualità della vita, sostenibilità.

L’Australia, con le sue sette grandi città costiere, le università accessibili, le opportunità professionali e il forte equilibrio tra lavoro e tempo libero, sta diventando il nuovo punto di riferimento. Il Working Holiday Visa, in particolare, rappresenta un trampolino strategico per chi cerca un’esperienza formativa, ma anche un’ipotesi di radicamento.

Quando il futuro cambia latitudine

Non è solo l’attrazione per paesaggi mozzafiato o per uno stile di vita rilassato. Il vero punto di svolta è culturale. L’Asia-Pacifico, spiegano i sociologi, concentra oggi l’energia che un tempo apparteneva alla civiltà occidentale: la tensione verso il nuovo, l’idea che le discontinuità siano opportunità, il bisogno di reinventarsi, di costruire e scoprire.

Per molti under 30, il futuro è un luogo fisico, e si trova da un’altra parte del globo. Dove si sperimenta, si rischia, si cresce. In Indonesia, Thailandia, Vietnam, Corea del Sud. Dove l’idea stessa di società appare più mobile, più aperta, meno bloccata da vincoli generazionali o burocratici.

Dati, tendenze e una generazione che non si ferma

Le statistiche parlano chiaro: anche tra i ragazzi che hanno vissuto brevi esperienze all’estero durante gli anni scolastici, due su tre vorrebbero ripartire. E il dato si consolida tra chi ha già avviato un percorso lavorativo in Italia, spesso frustrato da stipendi bassi, rigidità contrattuali e mancanza di prospettive.

Interessante è anche il comportamento dei giovani stranieri che studiano in Italia: la maggior parte non intende restare, soprattutto per ragioni economiche. Un segnale inequivocabile che il sistema Paese non riesce più ad attrarre né a trattenere talenti.

L’Oriente che cambia le regole del gioco

Il quadro che emerge è quello di un vero e proprio ribaltamento simbolico: l’Occidente che guarda con nostalgia al passato e l’Oriente che incarna la novità. Ciò che un tempo era prerogativa dell’Europa rinascimentale – la scoperta, il movimento, l’innovazione – oggi si trova dall’altra parte del mondo.

La mobilità non è solo geografica, ma esistenziale – osservano gli studiosi –. I giovani cercano contesti in cui sia possibile cambiare, reinventarsi, crescere. E l’Oriente, oggi, lo permette più dell’Occidente.”

Una nuova geografia generazionale

Questo spostamento di orizzonte non è solo migratorio, ma culturale. Cambia la geografia delle aspirazioni, delle scelte, delle identità. Cambia il modo di guardare il mondo e di abitarlo. Cambia, in fondo, l’idea stessa di “futuro”.

Così, mentre l’Occidente si interroga sul proprio declino, una nuova generazione si affaccia su un’altra sponda del pianeta, pronta a riscrivere la propria storia. E forse anche quella globale.


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