Roma, 24 luglio 2025 – Quello che inizialmente sembrava un’ordinaria contrapposizione tra la componente laica filogovernativa e i togati del Consiglio Superiore della Magistratura si è trasformato in un vero e proprio conflitto istituzionale, capace di mettere in discussione l’operatività dell’intero organo e, in prospettiva, di coinvolgere indirettamente anche il Quirinale, nella sua veste di Presidenza del CSM.
Il casus belli è stata la pratica a tutela del sostituto procuratore generale Raffaele Piccirillo, approvata con tempistiche ritenute “insolitamente rapide” dai consiglieri espressi da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, che l’hanno definita un’iniziativa “di natura esclusivamente politica”, in risposta al recente via libera del Senato alla riforma della giustizia voluta dal governo.
Il documento – proposto dai consiglieri togati e dai laici espressi da PD, M5S e Italia Viva – si poneva l’obiettivo di difendere non solo la libertà di espressione di Piccirillo, accusato dal ministro Nordio per una sua analisi giuridica relativa al caso Almasri, ma anche l’onorabilità della Sezione disciplinare del CSM, duramente criticata dal Guardasigilli per presunti condizionamenti correntizi.
Un boicottaggio che blocca i lavori
Il boicottaggio messo in atto dai laici di centrodestra – attraverso l’assenza ripetuta in aula – ha impedito per due volte il raggiungimento del numero legale, determinando la sospensione della seduta da parte del vicepresidente Fabio Pinelli, che ha rinviato la convocazione al giorno successivo nella speranza di trovare un’intesa.
La situazione è tutt’altro che marginale: senza l’esame della pratica contestata, l’intero plenum resta bloccato, e con esso anche l’esame di provvedimenti cruciali, inclusi quelli legati agli obiettivi del PNRR. Un’inerzia forzata, che pone interrogativi sulla tenuta dell’organo, soprattutto alla vigilia della pausa estiva e in assenza di un percorso istituzionale condiviso.
Il ruolo di Mattarella e lo spettro dello scioglimento
La gravità dello stallo, se protratto, potrebbe configurare un’impossibilità funzionale del CSM, uno scenario che – secondo la legge – giustificherebbe lo scioglimento dell’organo e nuove elezioni. Ma con l’attuale sistema elettorale, ritenuto da più parti una delle cause dei mali del CSM, si riprodurrebbero le stesse dinamiche che la riforma in corso punta a superare.
Una prospettiva istituzionale delicata, che non può non riguardare anche il Quirinale. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in qualità di presidente del Consiglio Superiore, ha il compito di approvare gli ordini del giorno del plenum, compreso quello finito al centro della polemica. La sua posizione, pur di garanzia, è dunque inevitabilmente toccata da uno scontro che ha smesso di essere tecnico per diventare politico.
Pinelli cerca una mediazione, ma la frattura resta
Proprio il vicepresidente Fabio Pinelli, leghista ma sempre attento al profilo istituzionale del Consiglio, ha cercato di stemperare i toni, pur riconoscendo la legittimità della tutela espressa nei confronti di Piccirillo. La sua posizione, moderata e rispettosa della dialettica interna, evidenzia la fragilità dell’equilibrio attuale: anche un rappresentante della maggioranza di governo, solitamente prudente su pratiche simili, ha condiviso la necessità di non lasciare isolato un magistrato per opinioni espresse in ambito tecnico-giuridico.
Il nodo politico: Nordio e il “tribunale delle toghe”
A riaccendere la miccia dello scontro è stata ancora una volta una dichiarazione del ministro Carlo Nordio, che ha definito “scandalosa” la difesa espressa da alcuni magistrati nei confronti di Piccirillo, accusandoli implicitamente di parzialità e di agire in base ad appartenenze correntizie. Una denuncia durissima, a cui il CSM ha risposto parlando di “gratuita e pregiudiziale denigrazione della giurisdizione”, priva di basi oggettive e lesiva della funzione costituzionale della Sezione disciplinare, che include anche membri eletti dal Parlamento.
La tensione, insomma, non è più confinata al piano delle opinioni o delle critiche reciproche, ma si è trasformata in uno scontro istituzionale che coinvolge funzioni, poteri e legittimità. In attesa del prossimo plenum e delle mosse del Colle, resta da capire se prevarrà la linea del confronto o quella della rottura.
Il rischio, sempre più concreto, è che la paralisi del CSM finisca per diventare la cartina al tornasole della fragilità dei rapporti tra poteri dello Stato, in un momento in cui l’Italia ha bisogno di stabilità e responsabilità, più che di veleni e fratture.
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