L’art.83 del Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020 illustra le disposizioni in materia di Giustizia civile e penale istituite per cercare di far funzionare il sistema nonostante i limiti imposti per far fronte all’epidemia da COVID-19. La spinta verso un processo penale da remoto è diventata più consistente, dividendo l’opinione di avvocati e magistrati tra coloro che vedono positivamente la novità e coloro che la vivono come una minaccia.
Gli elementi portanti dell’attuale processo penale telematico sono:
– le udienze da remoto, tramite Skype for Business o Teams di Microsoft,
– il deposito telematico degli atti.
Le udienze via computer non sono proprio una novità poiché già prima dell’emergenza erano usate nelle situazioni previste dall’articolo 146-bis del Codice di procedura penale: detenuti in carcere per reati di criminalità organizzata o terrorismo, persone ammesse a programmi o misure di protezione.
Ora, le udienze da remoto sono state estese anche agli imputati liberi o sottoposti a misure cautelari non detentive.
Tra le varie voci critiche verso la deriva telematica del processo penale vi è quella dell’Unione delle Camere Penali che avanza il timore, condiviso da molti, che la novità non sia limitata al solo periodo emergenziale ma venga mantenuta anche dopo la sua fine.
IN CHE COSA CONSISTE IL PROCESSO PENALE DA REMOTO
Dal 9 marzo al 30 giugno, le udienze penali che richiedono la sola presenza di PM, parti e difensori, ausiliari del giudice, polizia giudiziaria, interpreti consulenti e periti possono essere svolte da remoto tramite i programmi di videoconferenza Skype for Business o Teams.
Il giudice comunica a tutti i soggetti il giorno e l’ora dell’udienza e la modalità di collegamento.
I difensori attestano l’identità dei propri assistiti che, come già detto, parteciperanno dalla stessa postazione del difensore.
Se l’imputato/indagato si trova agli arresti domiciliari, lui e il difensore possono partecipare all’udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria che consenta la videoconferenza.
L’identità del l’imputato/indagato viene accertata dall’ufficiale di polizia giudiziaria presente.
Nella fase delle indagini preliminari è permesso il compimento di atti tramite collegamento da remoto. L’avvocato difensore partecipa tramite collegamento remoto dal suo studio legale o dal luogo in cui si trova il suo assistito.
È possibile depositare telematicamente gli atti di nomina del difensore, le memorie, altri documenti e le istanze previste dall’art. 415-bis, comma 3, c.p.p.
PERCHÈ IL PROCESSO PENALE TELEMATICO NON CONVINCE
La mancanza di un vero contraddittorio
Il processo penale è un processo che si basa sull’oralità, ma le udienze in video da remoto impediscono un reale dibattito.
L’Avv. Domenici, vicepresidente di Aiga (Associazione italiana giovani avvocati) sezione Lucca, spiega: «Non è ammissibile che il processo penale venga, in nome dell’emergenza epidemiologica, stravolto e trasformato in un processo in videoconferenza, comprimendo così il diritto di difesa ed il contraddittorio che presuppongono l’oralità e l’immediatezza dell’accertamento giudiziale» [Fonte].
Privacy
Le procedure del processo penale da remoto tutelano la privacy dei coinvolti? Chi, magari all’interno dell’azienda produttrice, può accedere ai dati delle videoudienze?
Il dubbio è sorto anche a il presidente delle Camere penali, l’Avv. Caiazza che ha scritto al Garante della Privacy per proporre «modifiche che consentano la trattazione in sicurezza dei processi. Possiamo fare in modo che si vada in aula il meno possibile e che il numero dei partecipanti sia il più basso possibile. Ma non si può smaterializzare l’aula».
L’impatto dei limiti tecnologici
Oltre ai problemi di sicurezza informatica a monte, ci sono anche i limiti tecnologici dei soggetti coinvolti.
Connessioni lente che causano una trasmissione video a singhiozzo, magari unita un alto numero di partecipanti renderebbero l’udienza da remoto assai difficile da gestire e andrebbero a ridurre ancor di più un contraddittorio già penalizzato.
Lo squilibrio di potere
Per spiegare questo punto ci rifaremo a quanto l’Avv. Caiazza ha scritto sulla sua pagina Facebook.
Per prima cosa va ricordato che «spetta al giudice ogni valutazione in ordine alle modalità di svolgimento delle udienze», ma Caiazza spiega anche che:
il Collegio dà categoriche disposizioni a tutte le parti processuali, collocandole ora qui ora là, purché non in Aula.
Innanzitutto, si indica la piattaforma, cioè Teams di Microsoft, secondo le indicazioni ministeriali. […]
Ma la parte più stupefacente di questo incredibile atto processuale è il gioco della assegnazione dei posti.
Premesso che gli imputati detenuti si collegheranno dal carcere (non in videoconferenza, ma su Teams), «il Pubblico Ministero si collegherà dal proprio ufficio; gli imputati liberi e quelli agli arresti domiciliari si collegheranno dallo studio dei loro difensori; i difensori dai loro rispettivi studi professionali» ma, attenzione, «un solo collegamento per ciascun imputato», quindi se i difensori sono due, si arrangino entrambi presso uno dei due studi. Quanto ai testi di Polizia Giudiziaria, «dagli uffici di un servizio territoriale della propria Arma di appartenenza».
Quindi «il Tribunale dispone non solo che le parti debbano avere Teams su un proprio computer, e che debbano saperlo usare; ma dispone anche dei diritti proprietari degli avvocati rispetto ai propri studi, dove d’imperio non solo essi dovranno stare, ma dovranno altresì ricevere i propri assistiti e l’eventuale co-difensore (che dunque avrà invece l’obbligo di trasferta)».
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