Il processo tributario è un processo prevalentemente documentale e il giuramento e le testimonianze non sono considerati mezzi di prova. Questo principio è espresso all’articolo 7, comma 4, del Dlgs. 546/92:
1. Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facolta’ di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta.
2. Le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessita’, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica. I compensi spettanti ai consulenti tecnici non possono eccedere quelli previsti dalla legge 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni.
3. (Comma abrogato)
4. Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale.
5. Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente.
C’è da chiedersi se ciò sia una violazione del diritto al contraddittorio e al giusto processo.
DIRITTO AL GIUSTO PROCESSO E AL CONTRADDITTORIO
Il riferimento principale quando si parla di giusto processo è l’art.6, comma della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Mentre la nostra Costituzione, all’art.111, comma 1, recita che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge». Al comma 2 aggiunge che «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata».
A un primo sguardo si potrebbe dunque credere che il mancato riconoscimento delle prove testimoniali nel processo tributario sia in contrasto con i due principi sopra indicati.
IL VALORE DELLE TESTIMONIANZE
La Corte di Cassazione si è espressa a tal proposito riconoscendo alle dichiarazioni rese da terzi, anche se non durante un contraddittorio, un valore indiziario. Tali testimonianze permettono al giudice del processo tributario di giungere alla propria conclusione.
«L’inammissibilità della prova testimoniale non comporta l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi, eventualmente raccolte dall’amministrazione nella fase procedimentale, distinguendosi queste dalla tipica prova testimoniale per il loro valore probatorio, che è quello proprio degli elementi indiziari, senza che si determini nemmeno una violazione del principio di parità di armi, potendo il contribuente contestare la veridicità delle dichiarazioni in questione e introdurre a sua volta, nel giudizio di merito, altre dichiarazioni di terzi rese a discarico in sede extraprocessuale (Corte cost. n. 18/2000; Cass. nn. 20032/2011, 10785/2010, 9402/2007, 4423/2003)».
L’inammissibilità delle testimonianze “in contraddittorio” può trovare una spiegazione nella struttura stessa del processo tributario, che richiede celerità di esecuzione. Ma le dichiarazioni raccolte durante la fase istruttoria vanno comunque considerate elementi importanti ai fini del procedimento.
Sempre la Cassazione, con l’ordinanza n. 592 del 15 gennaio 2021, spiega che le dichiarazioni rese da un contribuente alla Guardia di Finanza hanno, ai fini istruttori, il valore di una confessione stragiudiziale ai sensi dell’art. 2735 cod. civile. Tale confessione non rappresenta una prova indiziaria, ma un dato di fatto che non richiede la raccolta di ulteriori riscontri.
Questo valore delle testimonianze può giocare anche a favore del contribuente. Pertanto, il principio del giusto processo espresso dall’art 6 della CEDU è del tutto rispettato anche nel processo tributario nonostante la mancanza di un vero contraddittorio.
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