Il diritto alla difesa si confronta con le nuove frontiere del processo penale digitale. La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 18464/2025), ha stabilito che i files di log relativi alle intercettazioni — quei registri digitali che tracciano le attività di captazione e ascolto — sono equiparabili alle registrazioni audio, ma il loro rilascio alla difesa non è automatico. Per ottenerne copia, occorre formulare una richiesta sorretta da motivazioni concrete, indicando quale specifico interesse difensivo verrebbe leso dal mancato accesso.
Il caso riguardava un indagato per associazione mafiosa, la cui custodia cautelare si fondava esclusivamente su intercettazioni eseguite tramite captatore informatico. La difesa aveva eccepito la violazione del diritto di ottenere copia dei files di log — strumenti ritenuti essenziali per verificare eventuali anomalie nell’acquisizione dei dati — sostenendo che il diniego ne pregiudicasse il diritto di difesa.
La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, chiarendo che, pur riconoscendo ai files di log pieno valore probatorio, la richiesta di copia deve essere giustificata da specifiche contestazioni o da ragioni difensive precise. Una richiesta meramente esplorativa, priva di indicazioni su possibili vizi o manipolazioni delle captazioni, non è sufficiente a ottenere il rilascio.
Stessa sorte per un ulteriore motivo di ricorso, con cui si contestava il mancato rispetto della regola che assegna al difensore l’ultima parola in udienza. I giudici di legittimità hanno ribadito che, nelle udienze di riesame cautelare, tale disciplina non si applica.
Una pronuncia che non mancherà di far discutere. Se da un lato la Corte ribadisce il valore dei files di log come vere e proprie “impronte digitali” delle intercettazioni, dall’altro restringe l’accesso difensivo a questi documenti essenziali, subordinandolo alla dimostrazione di un interesse concreto.
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