Nulla vieta a un’avvocato o a uno studio legale di farsi pubblicità, a patto che l’attività di marketing legale sia svolta nel rispetto dei principi indicati dal codice deontologico.
Per qualcuno questo può sembrare un ossimoro; in realtà il codice deontologico non solo non esclude questa la possibilità ma, anzi, suggerisce una condotta comportamentale che è a tutto favore di un marketing di qualità.
Tre sono gli articoli di particolare rilevanza.
MARKETING LEGALE: 3 ARTICOLI DI RIFERIMENTO
Il primo articolo utile a definire come fare marketing legale è l’art.37 sul divieto di accaparramento della clientela:
“1. L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro.
2. L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali.
3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.
4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
5. E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare.”
Il secondo è l’art.17:
“1. È consentita all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.
2. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.
3. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.”
Infine, l’art.35 offre dei veri e proprio spunti pratici per offrire una “corretta informazione”:
- ” L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.
- L’avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale.
- L’avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza.
- L’avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche; specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento.
- L’iscritto nel registro dei praticanti può usare esclusivamente e per esteso il titolo di “praticante avvocato”, con l’eventuale indicazione di “abilitato al patrocinio” qualora abbia conseguito tale abilitazione.
- Non è consentita l’indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell’avvocato.
- L’avvocato non può utilizzare nell’informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.
- Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano.
- Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione.”
Presi nel loro complesso, questi 3 articoli offrono ad avvocati e studi legali il perimetro entro cui muoversi.
È evidente che il codice deontologico non neghi affatto la possibilità di fare marketing legale, in particolare attraverso i mezzi digitali a disposizione oggi (sito, blog, social, podcast, ecc.), ma che spinga per una comunicazione che sia indirizzata verso la condivisione trasparente di informazioni e la creazione di una relazione onesta con l’utente, e non una comunicazione basata su messaggi puramente commerciali.
Questi non sono affatto limiti; al contrario, sono indicazioni perfettamente in linea con i principi del marketing di qualità.
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