In un momento in cui il sistema penitenziario italiano versa in condizioni drammatiche, segnato da sovraffollamento, violenze e violazioni dei diritti fondamentali, l’Unione delle Camere Penali Italiane lancia un nuovo, severo allarme sul futuro del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
A far scattare l’attenzione è la recente intervista rilasciata dal prof. Mario Serio, componente del collegio del Garante, al quotidiano Il Manifesto. Serio ha denunciato le difficoltà operative dovute alle prese di posizione ideologiche di alcuni membri e alla mancanza di una linea univoca nell’azione dell’Autorità di garanzia, evidenziando che tale frammentazione rischia di minare la funzione stessa di difesa dei diritti dei detenuti.
Una preoccupazione condivisa dall’Osservatorio Carcere e dalla Giunta dell’UCPI, che in una nota ufficiale sottolineano come proprio la soggettività ideologica dei singoli non possa diventare il pretesto per svuotare di significato e di funzione un organismo costituito per garantire il rispetto della dignità umana in carcere, nei CPR, nelle REMS e in ogni luogo di privazione della libertà.
Il nodo delle dimissioni e delle tensioni interne
A innescare le polemiche è stata anche la rinuncia dell’avvocato Michele Passione ai mandati professionali per i processi riguardanti torture e violenze in carcere, episodio che ha sollevato dubbi sulla continuità dell’impegno del Garante in difesa dei diritti dei reclusi. Serio ha rassicurato sul proseguimento dell’attività, ma ha ammesso la necessità di “battersi perché quella posizione resti salda nel collegio”.
L’UCPI, pur apprezzando queste dichiarazioni, esprime riserve sull’effettiva tenuta dell’istituzione, ricordando come il Garante sia nato in risposta alla celebre sentenza “Torreggiani” della Corte EDU, con cui l’Italia venne condannata per il trattamento inumano e degradante dei detenuti. Un’eventuale deriva dell’organismo verso il silenzio o la sterilizzazione delle sue funzioni rappresenterebbe un drammatico fallimento del nostro ordinamento.
Preoccupazioni sul silenzio istituzionale e le mancate relazioni
Nella nota, le Camere Penali stigmatizzano la mancata pubblicazione da oltre due anni della relazione annuale al Parlamento, documento essenziale per monitorare l’operato dell’Autorità e il rispetto dei diritti nelle strutture penitenziarie italiane. Non solo: viene ribadita la necessità di una capillare attività ispettiva, con visite a sorpresa e relazioni pubblicate regolarmente, che a tutt’oggi mancano in modo sistematico.
Secondo l’UCPI, è fondamentale che il Garante agisca senza subalternità verso il potere politico che lo ha nominato e senza lasciarsi condizionare da logiche ideologiche o di schieramento. Deve restare una figura super partes, un pubblico difensore dei diritti e della legalità costituzionale, in grado di denunciare abusi e di intervenire ogni volta che si verifichino morti sospette o episodi di tortura in carcere.
La denuncia di una rimozione collettiva
In un Paese in cui — denunciano le Camere Penali — lo scandalo carcerario è spesso rimosso dal dibattito pubblico, il rischio è che venga progressivamente meno anche quell’unico presidio istituzionale deputato alla tutela effettiva dei diritti delle persone private della libertà. Da qui la richiesta di respingere con forza i tentativi di ridimensionare il Garante e di rafforzarne invece ruolo, indipendenza e capacità d’azione.
Perché, concludono le Camere Penali, senza un’autorità autonoma, vigile e autorevole, capace di intervenire e di informare l’opinione pubblica, i diritti dei detenuti restano lettera morta e il sistema penale italiano rischia di scivolare nuovamente nell’opacità e nell’illegalità sistemica già condannata dall’Europa.
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