Redazione 19 Giugno 2025

Enzo Tortora, quarantadue anni dopo: il ricordo e una riforma che prova a cambiare la giustizia

Quarantadue anni. Tanto è passato da quel 17 giugno 1983 in cui Enzo Tortora, popolare conduttore televisivo e giornalista, veniva arrestato con accuse poi rivelatesi totalmente infondate. Una vicenda che ha segnato la storia giudiziaria e civile italiana e che l’altro ieri è tornata al centro dell’attenzione pubblica, nel giorno della sua commemorazione al cimitero di Milano, dove riposa, e alla vigilia di una riforma costituzionale che, in parte, raccoglie l’eredità della battaglia condotta da Tortora fino alla fine dei suoi giorni.

Proprio mentre il Senato si prepara a discutere la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante — nodo rimasto irrisolto per decenni — familiari, amici e rappresentanti del mondo forense si sono ritrovati per ricordare non solo l’uomo e il professionista, ma anche il simbolo di una giustizia che, in quel caso, mancò clamorosamente il bersaglio.

Una ferita ancora aperta

La storia di Enzo Tortora è nota. Arrestato sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, senza riscontri oggettivi, venne trascinato in un processo mediatico e giudiziario durato anni, culminato con una condanna in primo grado a dieci anni di reclusione e poi, in appello, con la piena assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Una vicenda che molti, ancora oggi, considerano il paradigma degli errori giudiziari italiani.

Durante la cerimonia commemorativa, la figlia Gaia Tortora ha commentato amaramente la difficoltà di istituire in Italia una Giornata dedicata alle vittime di errori giudiziari, sottolineando come sia «sorprendente che su un tema simile si debba ancora ascoltare il parere contrario dell’Associazione nazionale magistrati (Anm)».

Anche Giandomenico Caiazza, avvocato e all’epoca difensore di Tortora, ha ricordato come quel processo fu il riflesso di una giustizia condizionata dall’urgenza mediatica e dal legame troppo stretto tra pubblici ministeri e giudici, un assetto che la riforma in discussione in questi giorni punta finalmente a modificare. Caiazza ha sottolineato come la Procura, allora come oggi in casi simili, difese a oltranza il proprio operato e il giudice scelse di non spezzare quell’asse investigativo-giudicante fino al processo d’appello.

Un lungo percorso di riforma

Da allora, il tema della separazione delle carriere tra chi accusa e chi giudica ha attraversato varie stagioni politiche e referendum popolari. Già nel 1987, oltre l’80% degli italiani si era espresso a favore di una maggiore responsabilità civile dei magistrati, principio che però non ha mai trovato piena applicazione. Caiazza ha ricordato come nel 1988 egli stesso intentò una causa civile per conto di Tortora contro i magistrati che avevano condotto quell’inchiesta, venendo per questo denunciato per calunnia.

Nella riforma costituzionale ora all’esame del Parlamento, oltre alla separazione delle carriere, è prevista anche una modifica del sistema disciplinare dei magistrati, che dovrebbe sottrarre alle correnti interne dell’Anm il controllo dei procedimenti a carico dei colleghi. Un tentativo di arginare le distorsioni interne e di rafforzare la credibilità della magistratura.

Le incognite del cambiamento

A distanza di oltre quattro decenni dal caso Tortora, restano interrogativi su quanto la giustizia italiana sia davvero cambiata e su quanto questa riforma potrà incidere concretamente. Andrea Cangini, segretario della Fondazione Einaudi, ha osservato come il supplizio giudiziario inflitto a Tortora richiami quello di figure storiche perseguitate per errore o pregiudizio, sottolineando che, a differenza di altre istituzioni, «magistratura, media e società italiana sembrano ancora troppo simili a quelle di allora».


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