Nel mondo della comunicazione legale, la verifica dei fatti non è più un’opzione. È una responsabilità. A ricordarlo è stato l’International Fact-Checking Day, promosso dalla International Fact-Checking Network (IFCN) con un messaggio che non lascia spazio a dubbi: #FactCheckingIsEssential.
In un ecosistema informativo in cui miliardi di contenuti circolano in tempo reale, la credibilità professionale si costruisce con rigore, trasparenza e tempestività. E per gli studi legali, che spesso operano sotto i riflettori dei media o gestiscono crisi reputazionali delicate, il fact-checking diventa una pratica strategica.
Il fact-checking entra nella routine degli studi legali
Verificare le informazioni non è più solo compito di giornalisti o debunker. Per chi lavora nella comunicazione giuridica, la disinformazione è una minaccia concreta: una dichiarazione imprecisa può generare malintesi, alimentare polemiche, o addirittura esporre a contenziosi.
Durante la pandemia da COVID-19, la portata del fenomeno è emersa con forza: dalle bufale sui vaccini alle teorie complottiste, il dilagare di fake news ha mostrato quanto siano necessarie strategie di contenimento e verifica, anche nel contesto legale.
Due modelli a confronto: USA vs Europa
A livello internazionale, si delineano due approcci contrapposti. Negli Stati Uniti, Meta ha interrotto le collaborazioni con i fact-checker su Facebook e Instagram, rimpiazzandoli con le “note di comunità”, lasciando agli utenti il compito di interpretare le informazioni. Una mossa che, secondo Mark Zuckerberg, salvaguarda la libertà d’espressione ma aumenta il rischio di disinformazione.
L’Europa, invece, va in direzione opposta: il Digital Services Act ha introdotto i Trusted Flaggers, enti riconosciuti e incaricati di segnalare contenuti illegali o dannosi con priorità alle piattaforme. Una forma di regolazione pubblica che punta sulla responsabilità istituzionale.
La reputazione è la nuova priorità
Secondo il Report Comunicazione 2024, l’88% dei responsabili comunicazione considera la reputazione aziendale come priorità strategica. In questo scenario, il fact-checking diventa un’arma difensiva ma anche uno strumento proattivo.
Tra le piattaforme più utilizzate per la verifica troviamo: Facta.news – progetto di Pagella Politica per contrastare le bufale virali; NewsGuard – sistema di valutazione delle fonti; Google Fact Check Explorer – aggregatore di contenuti verificati; CrowdTangle – utile per il monitoraggio della viralità; Trusted Flaggers – infrastruttura legale UE in fase di implementazione.
Strategie concrete per gli studi legali
Per affrontare efficacemente la sfida della disinformazione, gli studi legali dovrebbero: monitorare attivamente le conversazioni online con strumenti come Talkwalker o Mention; Implementare procedure interne di verifica delle fonti prima della pubblicazione; Investire nella formazione continua dei team comunicazione; Comunicare in modo chiaro e accessibile per evitare incomprensioni; Adottare un approccio di thought leadership, pubblicando contenuti autorevoli.
Tecnologia e limiti etici
L’intelligenza artificiale e il machine learning stanno trasformando il fact-checking, accelerando i tempi di verifica. Ma la componente umana resta centrale: il contesto culturale e la sensibilità etica non si lasciano interpretare facilmente da un algoritmo.
Il vero nodo sta nel bilanciamento tra automazione e responsabilità umana. Quanta fiducia possiamo riporre nella tecnologia? E quanta ne dobbiamo restituire alle istituzioni e alla consapevolezza dei professionisti?
Il fact-checking non è una moda passeggera, ma un pilastro della comunicazione etica. Per gli studi legali, significa proteggere la propria reputazione oggi e difendere il valore del diritto alla verità domani. Un impegno che va oltre il marketing, toccando i principi stessi del diritto e della convivenza civile.
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