Nonostante la Corte costituzionale abbia sancito da oltre un anno il diritto all’affettività per le persone detenute, il sistema carcerario italiano resta drammaticamente indietro. Su 189 istituti penitenziari censiti, soltanto 32 dispongono di uno spazio riservato dove i colloqui intimi possano svolgersi senza controllo visivo e nel rispetto della dignità personale. In pratica, meno di uno su cinque.
La fotografia di questo stallo arriva dalla risposta che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha fornito a un’interrogazione parlamentare presentata lo scorso febbraio dal deputato Roberto Giachetti. Dal quadro emerge un’Italia penitenziaria ancora impigliata tra annunci, gruppi di lavoro e progetti pilota mai decollati davvero. La gran parte delle carceri ammette di non avere stanze idonee, bloccata da problemi strutturali, mancanza di fondi e, soprattutto, da un immobilismo amministrativo che continua a ostacolare un diritto riconosciuto come espressione della dignità umana.
A confermare la gravità della situazione è anche il caso di Parma, dove un detenuto condannato per reati di mafia ha dovuto attendere due anni e il pronunciamento di due magistrature per ottenere il permesso di incontrare la moglie senza essere osservato. Dopo il primo rifiuto della direzione carceraria, motivato dall’assenza di locali idonei e dalla mancanza di linee guida definitive, il Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia ha imposto alla casa circondariale di trovare una soluzione entro sessanta giorni. Il Tribunale di Bologna ha poi respinto il reclamo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), affermando che, in assenza di concreti rischi per l’ordine interno, i colloqui intimi non possono essere vietati.
In mezzo a un panorama desolante, si salva il progetto “M.A.MA.”, un modulo prefabbricato in legno realizzato a Rebibbia per le detenute con figli. Ma l’iniziativa è rimasta isolata, senza che altre carceri abbiano seguito l’esempio, bloccate da bilanci senza fondi dedicati e da regolamenti in sospeso.
La vicenda restituisce l’immagine di un sistema penitenziario dove i diritti riconosciuti rimangono spesso teorici. Dove la possibilità di vivere affetti e relazioni intime dipende ancora dalla sensibilità dei direttori, dalla determinazione degli avvocati e dalla disponibilità dei giudici. E dove, come ha ricordato la Corte costituzionale, il carcere non può essere ridotto a isolamento e privazione, ma deve garantire spazi di umanità, fondamentali per il percorso di reinserimento sociale.
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