Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19726 depositata il 17 luglio 2024, hanno stabilito un importante principio in materia di accesso alla professione forense. I giudici hanno infatti chiarito che il solo fatto di essere imputato in un procedimento penale non è sufficiente a negare l’iscrizione all’albo degli avvocati.
Fino ad ora, molti Consigli dell’Ordine degli Avvocati avevano interpretato in modo restrittivo il requisito della “condotta irreprensibile”, previsto dalla legge professionale forense, negando l’iscrizione a coloro che si trovavano coinvolti in procedimenti penali, anche in fase preliminare.
Il bilanciamento dei principi costituzionali
La Cassazione, invece, ha sottolineato la necessità di bilanciare questo requisito con altri principi fondamentali della nostra Costituzione, come il diritto al lavoro, la presunzione di innocenza e il diritto allo studio.
Secondo i giudici, l’interesse pubblico a tutelare la correttezza della professione forense e l’affidamento della clientela deve essere valutato caso per caso, tenendo conto della gravità del reato contestato e dello stadio processuale in cui si trova il procedimento.
Una decisione che apre nuovi scenari
Questa sentenza rappresenta una svolta significativa, in quanto riconosce che una persona imputata ha il diritto di accedere alla professione forense fino a quando non sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna.
La decisione della Cassazione apre nuovi scenari e solleva importanti questioni sulla compatibilità tra il diritto alla difesa e la tutela dell’immagine della professione forense.
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