Il termine burn-out viene tradotto letteralmente come “bruciato”, “esaurito”, “scoppiato”. La prima apparizione del termine risale al 1930, e si utilizzava per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di mantenere o di ottenere ulteriori risultati.
Il termine è stato riproposto nel 1975 in ambito socio-sanitario: una psichiatra americana utilizzò il termine per definire una sindrome con dei sintomi riconducibili ad una patologia comportamentale, nell’ambito delle professioni con elevata implicazione relazionale.
Il burn-out nelle “helping professions”
Nel 1997, alcuni studi condotti dall’avv. Manlio Merolla hanno ricondotto la sindrome da burn-out anche in ambito forense e nelle “helping professions”. Quest’ultime sono professioni finalizzate all’aiuto, che si basano sul contatto interumano e che sfruttano le capacità personali in maggior misura rispetto alle abilità tecniche.
Queste figure hanno una duplice fonte di stress: quello personale e quello della persona che stanno aiutando. Se non trattati in maniera opportuna, è probabile che queste persone comincino un processo di “logoramento” o di “decadenza psicofisica”, a causa della mancanza di energie e dall’incapacità di gestire lo stress accumulato.
Sono professioni “high touch”, ovvero ad alto contatto con la sofferenza. Il contatto emotivo potrebbe essere talmente forte, da rivelarsi insostenibile. Senza adeguate misure di prevenzione si arriva inevitabilmente al burn-out, ovvero ad una «sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali».
Le cause generiche del fenomeno possono essere:
- lavorare in strutture gestite male;
- scarsa o inadeguata retribuzione;
- organizzazione del lavoro disfunzionale/patologica;
- svolgere mansioni frustranti o inadeguate;
- insufficiente autonomia decisionale;
- sovraccarichi di lavoro.
Simile allo stress, ma in ambito lavorativo
Il termine stress (sforzo, tensione) è stato adottato per descrivere una particolare sindrome, che caratterizza una risposta aspecifica dell’organismo a tutto quello che lo costringe a sforzarsi di adattarsi ad una particolare situazione.
Gli stressors (gli agenti stressanti) possono essere fisici, biologici, chimici o psico-sociali, e determinano stress in quanto:
- troppo intensi ed eccessivi;
- insoliti;
- agiscono per troppo tempo.
Se gli stressors eccedono rispetto alle capacità personali di risposta adattiva, verranno prodotte delle manifestazioni morbose. Il fenomeno del burn-out è simile allo stress, ma si manifesta esclusivamente in ambito lavorativo.
Tre categorie di disturbi
Il burn out è il risultato dello stress. Uno stress che fa sentire una persona senza alcuna via d’uscita. Nervosismo, apatia, irrequietezza, cinismo, indifferenza: questi sono alcuni dei sintomi tipici del burn-out.
Tali manifestazioni comportamentali e psicologiche possono essere raggruppate in tre categorie di disturbi:
- esaurimento emotivo: un sentimento in cui ci si sente emotivamente svuotati, annullati dal proprio lavoro e con un inaridimento emotivo nel rapporto con le altre persone;
- depersonalizzazione: atteggiamento di allontanamento e rifiuto nei confronti di chi richiede una prestazione professionale o cura;
- ridotta realizzazione personale: percezione di essere inadeguati sul luogo di lavoro, perdita di autostima e sensazione di insuccesso in ambito lavorativo.
- super caricamento emotivo: categoria specifica riservata ai professionisti in ambito forense, che riguarda il sentimento di far propri gli inaridimenti emotivi e le esperienze negative dei propri assistiti.
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Giovani avvocati vs professionisti affermati
Questa situazione spesso conduce la persona ad abusare di alcool, fumo o psicofarmaci e in ambito forense in un farsi eccessivo di carico di lavoro, senza alcun limite di tempo. Chiaramente, intervengono numerose variabili individuali, fattori sociali, ambientali e lavorativi.
Tra i giovani avvocati si rileva una frustrazione sia a livello economico sia legata alla scarsa preparazione pratica ad affrontare le problematiche che si presentano. Per i professionisti affermati, invece, i sintomi del burn-out sono collegati al peso delle responsabilità nella gestione del lavoro, che diventa man mano più complesso e difficile.
L’esplosione emotiva dei clienti si trasforma in sfoghi in ambito familiare, coniugale ed emozionale.
Le fasi del burn-out
Il burn-out potrebbe essere paragonato ad un virus dell’anima: è sottile, penetrante ed invisibile. Generalmente, segue quattro fasi.
Prima fase (entusiasmo idealistico)
È caratterizzata dalle motivazioni che inducono gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale, come diritto minorile, diritto di famiglia o diritto del lavoro. Si vuole migliorare il mondo, se stessi, avere una sicurezza a livello di impiego e svolgere un lavoro prestigioso. Ma sotto sotto si potrebbe voler esercitare una forma di controllo e potere sugli altri.
Alla base di tutto questo troviamo un certo grado di difficoltà nel leggere in maniera adeguata la realtà. Esiste, infatti, una logica secondo la quale trovare una soluzione ad una situazione difficile non dipende dalla natura della situazione ma dalle proprie capacità. Questo vuol dire che se un problema non viene risolto, significa che non ne eravamo all’altezza.
Seconda fase (stagnazione)
Il professionista continua a lavorare, ma si rende conto che il lavoro non lo soddisfa. I risultati del suo impegno diventano sempre più inconsistenti, passando dall’enorme investimento iniziale ad un disimpegno graduale. Il sentimento di delusione avanza sempre più, determinando un atteggiamento di chiusura verso l’ambiente di lavoro e verso i colleghi.
Terza fase (frustrazione)
Il pensiero che tormenta l’operatore è quello di non essere più in grado di aiutare nessuno, accompagnato da una profonda sensazione di inutilità e di non saper rispondere ai bisogni reali dell’utenza. Il vissuto dell’operatore diventa un vissuto di perdita, di crisi creativa, di svotamento e di smarrimento dei valori che si consideravano fondamentali.
Una persona frustrata potrebbe diventare aggressiva, verso sé stessa o verso gli altri, e mettere in atto comportamenti di fuga, come allontanamenti ingiustificati, pause prolungate, assenze frequenti per malattia.
Quarta fase (apatia)
Il disimpegno emozionale che segue la frustrazione, che determina il passaggio dall’empatia all’apatia va a costituire la quarta fase, dove si assiste ad una morte professionale.
In questi casi ognuno di noi dovrà attingere dalle sue risorse interne, come l’intelligenza emotiva e la creatività, che permettono di gestire al meglio le difficoltà di tutti i giorni.
La creatività potrebbe fornirci nuovi spunti per reagire a dei periodi difficili e a dei ritmi troppo intensi di lavoro. Un atteggiamento positivo nei confronti della vita in generale favorisce il giusto atteggiamento con il quale affrontare i problemi che emergono a lavoro.
Sfruttiamo la nostra intelligenza emotiva
Incontrare i bisogni reali dell’utenza/clientela spinge il professionista a dimenticare e a trascurare i propri bisogni e le proprie motivazioni. E come abbiamo visto, questo si trasforma in una sensazione di disagio e di impotenza.
L’impossibilità di aiutare favorisce l’insorgenza di dubbi nei confronti delle proprie capacità. L’operatore, che partiva da una forte idealizzazione della propria professione, sperimenta dapprima la frustrazione e successivamente il burn-out.
Qui entrano in azione la capacità personali, come empatia, capacità di adattamento, autocontrollo, fiducia in sé stessi, gestione del lavoro e capacità di costruzione di relazioni efficienti. Entra in gioco, dunque, l’intelligenza emotiva, la capacità delle persone di affrontare le difficoltà della vita.
Non isoliamoci
Bisogna provare ad ascoltarsi, a guardare dentro sé e a recuperare le proprie motivazioni e i propri desideri. Anche perché il burn-out è un virus contagioso, che si propaga velocemente tra un membro dell’équipe all’altro e dall’équipe agli utenti.
Il burn-out può essere curato soltanto con cambiamenti radicali nella vita professionale dell’operatore. Ovviamente, è fondamentale cercare l’aiuto di professionisti ma soprattutto è necessario evitare di isolarsi, cercare il sostegno della famiglia, degli amici e dei conoscenti.
Anche le tecniche di rilassamento e alcune attività sportive potrebbero far ritrovare un’energia necessaria per superare un momento così delicato.
Lavoriamo sulla prevenzione
Si deve, invece, intervenire sempre a livello preventivo in ambito formativo. L’operatore deve essere facilitato nel riconoscimento delle variabili interne ed esterne di rischio che esistono nelle professioni di aiuto.
Secondo una ricerca del 2005 pubblicata su “Avvenire Medico”, il 65% di coloro che fanno poca formazione comportamentale e professionale afferma che il lavoro ha peggiorato la qualità della propria vita. Sono pochi i professionisti, infatti, che possiedono strumenti idonei ad affrontare autonomamente la sindrome di burn-out.
Alcuni consigli
Come prima cosa, sarebbe meglio privilegiare la qualità del tempo passato davanti al pc, contro la quantità. Bisogna imparare a limitare le comunicazioni al di fuori dell’orario di lavoro, evitando di inviare mail e stabilendo dei confini precisi.
In generale:
- rispettate le vostre esigenze (cibo, moto, sonno, ecc) e riposatevi a sufficienza;
- riducete la velocità;
- non pretendete troppo da voi stessi: fissate degli obiettivi ragionevoli;
- se la mole di lavoro è troppa, definite delle priorità o delegate ad altri alcune mansioni;
- chiedete sostegno al vostro superiore, alle risorse umane o ai colleghi. Se necessario, cercate assistenza medica/psicologica.
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