Con la sentenza n. 5420/2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un avvocato sospeso dal CNF per la violazione del codice deontologico forense.
In particolare, l’avvocato non ha rispettato i principi di decoro, probità, dignità e correttezza, e le norme sulla riservatezza e sull’accaparramento della clientela.
VIOLAZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO E MEDIA: IL CASO
Il caso in questione tratta di una professionista che:
– ha rilasciato interviste su processi da lei effettivamente seguiti come difensore;
– ha partecipato a trasmissioni televisive in cui sono stati ricostruiti processi inventati, anche con l’uso di figuranti;
– ha proposto giudizi di classe infondati dopo aver anticipato tramite i giornali un risultato positivo certo;
– ha indicato come proprio recapito ai clienti quello di altri professionisti;
– si è procacciata nuovi clienti con modalità poco ortodosse.
Tali condotte rappresentano una violazione del codice deontologico e dei criteri di equilibrio, misura, riservatezza e segretezza richiesti nei rapporti tra avvocati e i media.
LA CONDANNA DEL CNF E LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Il CNF, raccolti i documenti che testimoniavano le condotte improprie, ha deciso per la sospensione dalla professione dell’avvocato, la quale ha presentato ricorso.
Le motivazioni del ricorso sono le seguenti:
- – vizi derivanti dalla violazione delle norme del procedimento svolto davanti al Consiglio dell’Ordine;
- – l’inadeguatezza della sanzione, considerata troppo severa, trattandosi del primo provvedimento disciplinare nei suoi confronti;
La Cassazione conferma però la condanna decisa dal CNF. In particolare, nella sentenza viene spiegato che “la determinazione della sanzione adeguata costituisce tipico apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 1609 del 24/01/2020), con conseguente inammissibilità della censura al riguardo”.
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