Anche le mail inquinano: l’impatto ecologico dei rifiuti digitali

Mercoledì 12 aprile 2023

Non ci facciamo molto caso, ma navigare online ha un costo altissimo. E chi ne paga le conseguenze è il nostro Pianeta. Se 70 milioni di abbonati a servizi streaming abbassassero la qualità dei video da HD a Standard, ci sarebbe una riduzione mensile di 3,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari al 6% del consumo di carbone mensile negli USA.

Oltre a questo, non ci rendiamo nemmeno conto di essere sommersi da rifiuti digitali. Bisognerebbe accrescere la consapevolezza dalla propria impronta digitale con azioni di sensibilizzazione digitale, ripulendo la memoria dei nostri dispositivi, evitando di inviare messaggi e mail inutili e cercando di dare sempre una seconda chance alle apparecchiature digitali.

Streaming passivo e click superflui

In Italia esiste un’organizzazione, Let’s do it Italy, che ha l’obiettivo di ripulire la Terra dai rifiuti, provando a contrastare in tal modo i cambiamenti climatici. Spiega Vincenzo Capasso, presidente dell’organizzazione ed esperto informatico: «Proviamo a far capire alle persone che i rifiuti digitali creano inquinamento digitale che continua a consumare energia anche quando ce ne siamo dimenticati. La spazzatura digitale si trova nei backup sui server che ci forniscono il servizio cloud e continuano a consumare elettricità».

Continua: «Il nostro consumo illimitato di dati oggi richiede tre volte più energia di quanta ne possano produrre tutti i pannelli solari del mondo. E la nostra mania di Internet funziona principalmente con i combustibili fossili»,

Dunque, lo streaming passivo e i click superflui causano più di 870 milioni di tonnellate di anidride carbonica, «contribuendo in modo consistente al riscaldamento globale». L’organizzazione ha proposto alcune challenge, come eliminare le vecchie mail, cancellarsi da newsletter inutili e rimuovere gli allegati dai download delle mail di cui non abbiamo bisogno.

Aggiunge Capasso: «Il 60% delle email non viene aperto, ogni anno vengono inviate 62 trilioni di email di spam. Restano solo lì a occupare spazio ed energia nella nostra casella di posta».

Per Enrico Parolisi, direttore di F-Mag, «il mondo ha sempre fatto tardi e oggi ne paghiamo le conseguenze. Abbiamo sempre sottovalutato il suo tremendo impatto sull’ambiente e l’ecosistema, e oggi sappiamo quanto sia complesso correre ai ripari».

Oggi, il mondo digitale è interconnesso: non si torna più indietro. La nostra vita online comporta impatti ambientali non trascurabili, a partire dalle nostre mail. Per esempio, soltanto nel Regno Unito ogni giorno vengono inviate 64 milioni di mail inutili: una singola mail ha un’impronta carbonica compresa tra i 5 e i 50 grammi di CO2.

Spegnere la videocamera su zoom

Se un dipendente partecipa a 15 ore di call online con la videocamera accesa contribuisce alla creazione di 9,4 kg di CO2. Spiega Capasso: «Spegnendo il video risparmierebbe la stessa quantità di emissioni che si creano caricando uno smartphone ogni notte per oltre tre anni».

Aggiunge, inoltre, che «ci vuole più energia per estrarre i Bitcoin di quanta ne consuma l’intera Nuova Zelanda in un anno. Il mining (l’estrazione di dati) di Bitcoin non produce altro che pochi byte di dati crittografati, consuma enormi quantità di energia con l’informatica senza creare effettivamente un prodotto o un servizio d’uso».

E ancora: «Google consuma 15.616 MWh di energia al giorno, più di quanto produce la diga di Hoover e alimenterebbe un intero paese con un milioni di abitanti per un giorno».

Meno inquinamento, più equilibrio

Certamente, il discorso della sostenibilità ambientale risulta molto importante. Eliminare dati non necessari permette anche di allungare la vita dei dispositivi tecnologici; ma fare pulizia ci permette di «sentirci più equilibrati e prendere il controllo delle nostre vite, forgiando nuove abitudini digitali».

«Organizzare le nostre email, inviarne meno e utilizzare modalità di comunicazione alternative, come gli spazi di co-working, libererebbe quel tempo, ma limiterebbe anche la pratica inefficace di organizzare il lavoro tramite email», conclude Capasso.

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