L’avvocatura, per quanto riguarda il panorama delle professioni giuridico/economiche e degli studi medio-piccoli, è quella che soffre meno l’innovazione, visto che ci pensa poco o per nulla.
Sette studi legali su dieci investono in tecnologie per un massimo di 8.800 euro; si pensi che gli studi multidisciplinari ne investono 25.060, i consulenti per il lavoro 11.950 e i commercialisti 11.390.
Se ampliamo il concetto di innovazione ai servizi e alla governance interna, negli studi legali non troviamo innovazione né per quanto riguarda la tipologia di servizio né nella modalità di erogazione.
Nel corso degli ultimi dieci anni, nonostante il mondo professionale abbia attraversato delle importanti trasformazioni, un terzo degli studi non ha affrontato alcun progetto di cambiamento.
Dichiara Claudio Rorato dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale: «Le realtà più grandi stanno cambiando passo, mentre la media degli studi non ha ancora avviato processi di rinnovamento, a fronte del nuovo panorama di macroambiente e del mercato: il cambiamento continua ad avvenire principalmente per obblighi di legge o contingenze straordinarie, come la pandemia e la crisi della supply chain ed energetica».
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Per Federico Iannella, Ricercatore dell’Osservatorio, «i pericoli percepiti sono trasversali a tutte le professioni, in primis l’avanzata delle piattaforme che erogano servizi legati alle attività tradizionali e le difficoltà nel reperire personale».
Emerge anche «un terzo pericolo, evidenziato da commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari: le difficoltà a gestire il passaggio generazionale. Gli avvocati evidenziano invece maggiormente timori legati alla scarsità di risorse finanziarie per gli investimenti».
Gli studi «innovano poco il portafoglio di servizi e usano poco le tecnologie per gestirne la leva relazionale: di fronte a un pericolo percepito, è ridotta la capacità di reagire attraverso la qualità del servizio o l’innovazione del portafoglio servizi per fidelizzare la clientela».
Relazione tra Avvocati e nuove tecnologie
La relazione degli avvocati con le nuove tecnologie si basa sulla diffidenza e sulla paura, ma soprattutto sulla scarsa comprensione del valore del dato in quanto elemento strategico di sviluppo.
Secondo il 48% degli avvocati, il supporto tecnologico migliora l’apporto intellettuale del professionista, ma soltanto il 42% pensa che le tecnologie migliorino le capacità di analisi. Il 7% ha il timore di venire completamente sostituito, mentre il 3% non sa che cosa rispondere.
Una gran percentuale di avvocati e commercialisti dichiara che non esiste progettualità di analisi dei dati, mentre il 24% dice di realizzarla, che sia con risorse interne o affidandosi a partnership. Gli obiettivi del lavoro di analisi sono il miglioramento della produttività, la riduzione dei costi, la creazione di nuovi business, il miglioramento del supporto alle decisioni e la distinzione nel mercato di riferimento.
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Tasselli molto critici sono il gestire la conoscenza e le iniziative di sviluppo per le risorse junior appena entrate nello studio. Si tratta di una contraddizione di una categoria che rifiuta le assimilazioni con l’impresa, ma senza valorizzare il proprio capitale.
Il 29% degli Studi non fa formazione ai professionisti, e il 25% dichiara di auto-formarsi. Per il 27% basta affidarsi ai senior. Le difficoltà che si incontrano nella gestione della conoscenza sono il poco tempo a disposizione, i costi delle tecnologie e riuscire a reperire documentazioni e informazioni.
Per condividere i saperi, si utilizzano i seguenti strumenti organizzativi: riunioni informative, brainstorming, centro studi, condivisione delle best practices, individuare esperti e tutor per le figure junior.
Il 67% degli avvocati dichiara di condividere strategie, obiettivi e risultati: in tale contesto avviene la “crisi della professione”, ovvero un’altissima mancanza di appeal per le persone più giovani, vista la bassa retribuzione, la difficoltà nell’intraprendere carriere strutturate, poco equilibrio tra vita privata e lavoro, poche garanzie sulla solidità degli studi e poca conoscenza delle attività che si svolgono negli studi.
Tra i professionisti, gli avvocati sono quelli che più temono l’esistenza di piattaforme in grado di erogare servizi standardizzati, con il timore di non avere abbastanza risorse per poter investire in tecnologie evolute.
Sempre presente l’inadeguatezza nella gestione del capitale umano, visto il 23% che ha il timore di non riuscire a reperire competenze e personale, al fine di supportare il percorso di crescita e la gestione del passaggio generazionale.
Per gli avvocati, i cambiamenti maggiormente impattanti nel corso degli ultimi dieci anni sono stati la dematerializzazione dei documenti, lo smart working, l’introduzione di tecnologie considerate “troppo” evolute, la promozione dell’efficienza e la relazione con i clienti, collaborazioni, alleanze ed empowerment del personale.
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