Roma. Non è un precedente vincolante, ma la sentenza depositata dalla Corte di Cassazione rischia di segnare una svolta nel delicato tema delle occupazioni abusive. I giudici del terzo grado hanno stabilito che la presenza di minori o di persone vulnerabili all’interno di un immobile occupato non può essere motivo sufficiente per sospendere a tempo indeterminato l’esecuzione di uno sfratto.
Il caso riguarda una donna di Firenze, proprietaria di un capannone di circa 700 metri quadrati, occupato abusivamente da una trentina di persone fin dal 2013. Nonostante le ordinanze di sgombero, l’esecuzione è stata rinviata per anni a causa della presenza, tra gli occupanti, di bambini e disabili. Solo nel 2018 il Comune aveva proposto una sistemazione alternativa, ma nel frattempo la proprietaria aveva subito pesanti danni economici: avrebbe voluto ristrutturare e affittare l’immobile.
La decisione della Suprema Corte
Accogliendo il ricorso, i giudici hanno stabilito un principio chiaro: il proprietario non può farsi carico delle emergenze sociali, che spettano invece allo Stato e agli enti pubblici affrontare. «La pubblica amministrazione tiene una condotta illecita se ritarda o rifiuta di dare esecuzione a un provvedimento giudiziario», hanno scritto i magistrati.
La conseguenza è stata la condanna al risarcimento: alla donna dovranno essere riconosciuti oltre 180 mila euro per il danno subito in cinque anni di mancato utilizzo dell’immobile.
Implicazioni per il futuro
La sentenza non crea diritto nuovo – l’Italia non è un Paese di common law – ma rappresenta una forte indicazione per giudici, ufficiali giudiziari e pubbliche amministrazioni. Potrà dunque essere richiamata in casi analoghi, rafforzando la tutela della proprietà privata e limitando la prassi dei rinvii sine die quando si tratta di famiglie con minori.
Resta fermo che la questione abitativa è un problema sociale serio, ma la Cassazione ha ribadito che non può essere scaricato sui singoli cittadini, già tenuti a contribuire con la tassazione.
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