Tre giorni convulsi, dal 19 al 21 gennaio 2025, hanno segnato uno dei dossier più delicati per il governo italiano: l’arresto a Torino del generale libico Osama Najem Almasri, capo della milizia Rada, accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l’umanità, e il suo immediato rimpatrio su un volo di Stato.
Secondo la relazione del deputato Federico Gianassi (Pd), vicepresidente della giunta per le autorizzazioni a procedere, in quelle ore il governo riunì ministri, sottosegretari, vertici delle forze di polizia e servizi di sicurezza per valutare rischi, implicazioni e strategie. Il tutto in un contesto esplosivo: da un lato le pressioni della Corte penale internazionale, che contestava ad Almasri 34 omicidi e 22 violenze sessuali documentate; dall’altro i timori di ritorsioni contro cittadini e interessi italiani in Libia, compresi gli impianti dell’Eni a Mellitah.
Il caso ha aperto una frattura anche sul piano politico e giudiziario. La Procura di Roma ha infatti indagato il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il Guardasigilli Carlo Nordio. Ma a catalizzare l’attenzione è oggi la posizione di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto di Nordio, finita sotto inchiesta per presunte false dichiarazioni rese al Tribunale dei ministri.
L’ex magistrata, già presidente del Tribunale di Gela, ha reagito senza clamori: ha continuato il lavoro a via Arenula, dichiarandosi «tranquilla» e preparandosi alla difesa con l’avvocata Giulia Bongiorno, la stessa legale che assiste l’intera compagine di governo coinvolta nel procedimento.
La maggioranza parlamentare appare intenzionata a blindare la dirigente, convinta che non sussista un «reato autonomo» e pronta a sollevare, se necessario, un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale. Ma in giunta per le autorizzazioni non mancano le voci critiche: Gianassi ha parlato di «ennesima forzatura», mentre Riccardo Magi (+Europa) ha avvertito contro «salvacondotti» mascherati da tecnicismi.
Il nodo politico-giuridico resta aperto: il rimpatrio di Almasri, presentato come una necessità di sicurezza nazionale, rischia di trasformarsi in un caso di scontro istituzionale e in un banco di prova per la tenuta dell’esecutivo, tra rapporti internazionali, equilibri interni e responsabilità personali dei protagonisti.
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