4 Settembre 2025 - BIG TECH | La sentenza

Google salva Chrome e Android, ma dovrà aprire i suoi dati ai rivali

Una sentenza storica negli Stati Uniti: niente smembramento del colosso di Mountain View, ma stop agli accordi esclusivi e obbligo di condivisione con concorrenti come Bing, DuckDuckGo e OpenAI

Una vittoria a metà per Google e un passo importante per la regolamentazione del digitale negli Stati Uniti. La decisione di un giudice federale di Washington ha infatti respinto la richiesta del governo americano di costringere il gruppo Alphabet – la holding che controlla Google – a cedere il browser Chrome e il sistema operativo Android. Due asset considerati “strategici”, che il Dipartimento di Giustizia voleva separare dall’azienda per limitare il potere monopolistico nel mercato delle ricerche online.

Il giudice Amit Mehta, in una sentenza corposa di 230 pagine, ha riconosciuto che la cessione forzata avrebbe rappresentato una misura sproporzionata, dato che Google non avrebbe usato queste piattaforme per pratiche illegali di restrizione del mercato. Tuttavia, la sentenza introduce vincoli significativi: Mountain View non potrà più siglare accordi di esclusiva per la distribuzione dei propri servizi chiave – dalla ricerca web fino all’intelligenza artificiale di Gemini – e sarà obbligata a condividere parte dei dati del proprio motore di ricerca con i concorrenti.

In concreto, Google dovrà mettere a disposizione di aziende rivali come Microsoft (con Bing), DuckDuckGo e persino realtà emergenti dell’AI come OpenAI porzioni del suo indice di ricerca e informazioni sulle interazioni degli utenti. L’obiettivo: favorire la concorrenza e sostenere lo sviluppo di prodotti alternativi in un settore che rischia di restare troppo concentrato nelle mani di un unico attore.

La sentenza non vieta invece a Google di continuare a pagare colossi come Apple o Mozilla per mantenere i propri servizi preinstallati su iPhone e Firefox. Proprio i documenti processuali hanno svelato che la partnership con Cupertino vale miliardi di dollari l’anno, mentre per Mozilla i ricavi legati a Google rappresentano la principale fonte di sostentamento.

Rispetto al modello europeo, che obbliga gli utenti a scegliere il motore di ricerca preferito sui nuovi dispositivi, il giudice americano ha preferito una soluzione meno invasiva. Ma le implicazioni restano rilevanti: si tratta infatti del primo passo concreto dopo la sentenza del 2024 che aveva accertato il monopolio di Google nella ricerca online.

Non sorprende che i mercati abbiano reagito con entusiasmo: le azioni di Alphabet sono balzate del 7% nelle contrattazioni after-hours, mentre anche Apple ha guadagnato il 3%. Una conferma che, almeno per ora, Google ha evitato lo scenario peggiore.


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