ROMA – È un paradosso tutto italiano, quello che emerge da un recente rapporto di Unioncamere e Ministero del Lavoro: le aziende cercano milioni di nuovi dipendenti nei prossimi anni e si apprestano ad accogliere tra i 250 e i 270 mila laureati l’anno, eppure il divario tra domanda e offerta resta enorme. Il problema non è la mancanza di posti, ma la mancata corrispondenza tra le competenze richieste e quelle offerte.
Il divario tra le aule universitarie e le fabbriche
La ricerca delle imprese è orientata, con sempre maggiore urgenza, verso i laureati in discipline scientifico-tecnologiche. Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, le cosiddette materie Stem, sono la chiave d’ingresso per il mondo del lavoro. Un settore che, secondo le stime, rischia di avere un deficit annuale che varia tra i 9 e i 18 mila laureati.
Allo stesso tempo, si continuano a formare migliaia di giovani in discipline che, per quanto nobili, non hanno le stesse prospettive occupazionali. Il dibattito è aperto da tempo: è inutile, si legge tra le righe del rapporto, formare “eserciti di laureati in scienze politiche, scienze sociali o scienze motorie” se l’industria ha bisogno di ingegneri e programmatori.
Non si tratta di sminuire l’importanza di questi percorsi di studio, ma di prendere atto che il mercato ha esigenze specifiche che vanno ascoltate. L’obiettivo non è spegnere i sogni degli studenti, ma aiutarli a fare scelte più consapevoli, che tengano conto non solo delle proprie passioni, ma anche delle reali opportunità professionali.
Dall’influencer al calciatore: sognare va bene, ma serve un piano B
Il problema si estende anche a settori come quello del giornalismo o delle nuove figure professionali come gli influencer. In molti sognano di fare carriera seguendo le proprie passioni, ma il mercato del lavoro, in questi ambiti, non ha spazio per “legioni di cronisti” o “eserciti di influencer”. Il successo è appannaggio di pochi, e anche questi pochi devono poi sottostare alle ferree leggi della visibilità e della reputazione.
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