La riforma della giustizia torna ad agitare il dibattito pubblico, confermandosi tra i temi più divisivi dell’agenda politica italiana. Stavolta, al centro dello scontro c’è la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, una proposta che affonda le radici nei decenni successivi a Tangentopoli ma che oggi assume una valenza del tutto nuova: in un clima di fiducia decrescente verso la magistratura e di crescente polarizzazione politica.
Secondo un recente sondaggio Demos, la fiducia degli italiani nei confronti dei magistrati si è fermamente attestata al 40%, una percentuale ben più bassa rispetto a quella riservata ad altre istituzioni come il Presidente della Repubblica o le forze dell’ordine. Un dato che riflette un’inversione di tendenza profonda rispetto agli anni ’90, quando i magistrati – simbolicamente guidati da Antonio Di Pietro – furono i protagonisti dell’inchiesta Mani Pulite e del crollo del sistema partitico della Prima Repubblica.
Una riforma che divide, ma resta centrale
La proposta di separare nettamente la carriera dei magistrati giudicanti da quella dei requirenti – oggi parte di un disegno di revisione costituzionale – è considerata tra le riforme istituzionali più rilevanti dall’attuale maggioranza. Secondo le rilevazioni, il tema della giustizia raccoglie un consenso superiore rispetto ad altre riforme in discussione, come il premierato o l’autonomia differenziata. Eppure, il sostegno è in calo rispetto ai mesi precedenti e si affievolisce in un’opinione pubblica sempre più incerta.
L’opinione dei cittadini si mostra infatti profondamente spaccata, non solo lungo le linee politiche ma anche per effetto di un crescente disorientamento. La materia, complessa e tecnica, non è facilmente accessibile a chi non ne conosce i meccanismi, e ciò alimenta un clima di incomprensione diffusa. A prevalere, al momento, è un leggero scarto a favore del dissenso, con un’opinione pubblica che sembra più distaccata che realmente contraria.
Fiducia in crisi, consapevolezza incerta
Il calo di consenso verso la riforma si lega direttamente alla percezione della magistratura. Da simbolo di legalità e giustizia, il ruolo del magistrato è progressivamente scivolato in una zona grigia agli occhi di molti italiani, tra accuse di protagonismo, inefficienza e politicizzazione. Questo sentimento si traduce in una mancanza di orientamento chiaro sull’assetto da dare alla giustizia, con l’elettorato che oscilla tra desiderio di riforma e timore di stravolgimenti.
Il consenso verso la riforma si distribuisce, inoltre, in modo fortemente polarizzato: tra gli elettori dei partiti di governo supera l’80%, sfiorando il 90% in alcuni segmenti. All’opposto, tra le fila dell’opposizione, prevalgono diffidenza e contrarietà. Una frattura che evidenzia come il tema della giustizia sia divenuto terreno di scontro identitario, più che di confronto tecnico.
Un percorso lungo e incerto
Il cammino della riforma è tutt’altro che lineare. Dovrà passare due volte da entrambe le Camere, potrà essere modificata durante l’iter parlamentare e, molto probabilmente, sottoposta a referendum popolare. Inoltre, l’effettiva entrata in vigore richiederà ulteriori leggi di attuazione, rendendo i tempi ancora più dilatati e i contenuti soggetti a compromessi.
Tuttavia, l’interesse degli italiani per la giustizia resta elevato, forse perché – a differenza di altri temi – tocca corde profonde: il senso di equità, la tutela dei diritti, la fiducia nello Stato. Nonostante la complessità della materia, le riforme che coinvolgono il sistema giudiziario sembrano capaci di mobilitare l’opinione pubblica più dell’autonomia regionale o della riforma della premiership.
L’eredità lunga di Tangentopoli
L’eco di Mani Pulite, a oltre trent’anni di distanza, continua a risuonare nei dibattiti politici e nel rapporto tra istituzioni e cittadini. Lo ha dimostrato recentemente lo stesso Antonio Di Pietro, che ha espresso solidarietà al sindaco di Milano parlando di «una stagione completamente diversa», ma riportando inevitabilmente al centro la memoria dell’inchiesta simbolo degli anni Novanta.
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