Un passaggio che potrebbe segnare una svolta storica nella giustiziabilità climatica in Italia. Con l’ordinanza n. 13085/2024, pubblicata il 21 luglio 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario nell’ambito di una controversia promossa da Greenpeace Italia, ReCommon e un gruppo di cittadini contro ENI, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., accusati di violazione degli obblighi climatici internazionali e responsabilità per danni ambientali derivanti dal cambiamento climatico.
La causa – la prima nel suo genere a livello nazionale – si distingue per l’articolazione inedita del petitum, che accanto a richieste risarcitorie per danni già subiti, comprende anche istanze inibitorie e coercitive nei confronti non solo dello Stato, ma anche di soggetti privati e a partecipazione pubblica, come appunto ENI e CDP.
Il cuore giuridico della controversia
I ricorrenti hanno fondato la loro azione su norme del codice civile (artt. 2043, 2050, 2051 c.c.), su disposizioni costituzionali (artt. 2, 9, 32 e 41 Cost.), e su fonti sovranazionali, in particolare l’art. 8 della CEDU e l’Accordo di Parigi. Una delle tesi centrali dell’azione è proprio la richiesta di riconoscere l’efficacia diretta di tali obblighi internazionali anche nei rapporti tra privati, sulla base della responsabilità extracontrattuale per condotte climalteranti.
Il nodo della giurisdizione
La questione sottoposta alla Corte non ha ancora toccato il merito della responsabilità climatica di ENI e degli altri soggetti citati, ma si è concentrata su un aspetto centrale: può un giudice ordinario pronunciarsi su un’azione che ha implicazioni politiche e strategiche? O si tratta di una materia che spetta solo a Parlamento ed Esecutivo?
Le Sezioni Unite hanno optato per una soluzione di apertura, affermando che la domanda è configurabile come azione risarcitoria per responsabilità civile extracontrattuale e quindi rientra pienamente nella giurisdizione del giudice ordinario. In altre parole, non si tratta di una richiesta politica, ma di una pretesa giuridica fondata su diritti soggettivi tutelabili anche in sede giudiziaria.
Un precedente nel contesto europeo
La decisione si inserisce in un clima giurisprudenziale in fermento, anche a livello europeo. Non a caso, i ricorrenti hanno richiamato la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 9 aprile 2024 nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz c. Suisse, che per la prima volta ha riconosciuto una violazione del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU) da parte di uno Stato inadempiente in materia di politiche climatiche.
Verso una nuova stagione per la “climate litigation” in Italia?
La pronuncia della Cassazione, pur avendo natura meramente processuale, si rivela tutt’altro che marginale. Per la prima volta, l’ordinamento italiano apre uno spazio concreto per azioni giudiziarie finalizzate a far valere obblighi climatici nei confronti di imprese e attori pubblici, con fondamento nei diritti fondamentali e nei principi costituzionali.
Si apre così la strada a un potenziale controllo giurisdizionale su condotte economiche e politiche ritenute climalteranti, ampliando i margini della responsabilità civile per il danno ambientale in un’ottica sistemica e innovativa.
Le prossime tappe
Il procedimento ora proseguirà davanti al giudice ordinario, che sarà chiamato ad accertare, nel merito, se le condotte contestate a ENI, al MEF e a CDP abbiano concretamente determinato o aggravato l’emergenza climatica, e se tali comportamenti siano suscettibili di generare responsabilità giuridiche. L’effetto deterrente di una possibile condanna, anche in termini di policy pubblica, potrebbe essere significativo.
Nel frattempo, questa ordinanza pone al centro del dibattito giuridico e politico il ruolo del diritto nella lotta al cambiamento climatico, e rafforza l’idea che i giudici possano rappresentare un faro di tutela attiva in un tempo in cui la crisi ambientale interroga tutte le istituzioni.
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