15 Luglio 2025 - PROFESSIONE | Ritardi normativi

Avvocati e Intelligenza Artificiale: opportunità, regole mancanti e una deontologia ancora da scrivere

Dalla rivoluzione di ChatGPT alle proposte normative italiane, la professione forense si confronta con l’IA senza ancora disporre di regole chiare. Tra obblighi di trasparenza e centralità dell’intelletto umano, ecco cosa manca (e cosa si muove) sul fronte etico e normativo.

Con l’arrivo di ChatGPT e delle tecnologie di OpenAI, il mondo delle professioni legali ha iniziato a cambiare pelle. L’Intelligenza Artificiale Generativa è entrata progressivamente negli studi forensi, offrendo strumenti capaci di accelerare ricerche giurisprudenziali, redigere testi e documenti, analizzare grandi volumi di atti e sentenze, ottimizzando il tempo dedicato a compiti ripetitivi e aumentando l’efficienza operativa.

Eppure, in questo scenario di rapida trasformazione, rimane una zona d’ombra non trascurabile: il rapporto tra IA e deontologia forense. Una relazione che, come in passato avvenne per i social network o per la pubblicità legale, fatica a trovare un assetto normativo e culturale condiviso.

Un codice deontologico senza IA

Ad oggi, il Codice Deontologico Forense non contiene alcuna disposizione specifica sull’uso dell’intelligenza artificiale. Una lacuna che pesa, considerando che la professione forense è regolata da principi di correttezza, riservatezza e trasparenza che devono potersi applicare anche alle tecnologie emergenti.

La proposta di riforma dell’ordinamento forense — il disegno di legge del 24 aprile 2025, prossimo a entrare nell’iter parlamentare — non colma questa mancanza. L’unico passaggio dedicato alla tecnologia è contenuto nell’articolo 67, comma 1, lettera f), punto 7, dove si affida al Consiglio Nazionale Forense il compito di disciplinare la formazione sull’uso di strumenti digitali e di Intelligenza Artificiale. Un richiamo generico e marginale che, per ora, non affronta l’urgenza di regolamentare un fenomeno destinato a incidere profondamente sul modo di esercitare la professione.

Un’occasione ancora mancata

L’assenza di un quadro organico sul piano deontologico si traduce in un vuoto di regole chiare su cosa sia lecito e corretto fare con l’IA nell’ambito forense. Eppure, la questione non è di poco conto: basti pensare al ruolo della tecnologia nel rapporto fiduciario tra avvocato e cliente o alla gestione riservata delle informazioni.

Per ora, la risposta più concreta arriva dal Disegno di Legge italiano sull’Intelligenza Artificiale, elaborato in scia all’AI Act europeo. All’articolo 13, il testo stabilisce un principio importante: l’IA potrà essere utilizzata solo per attività di supporto e mai per sostituire l’intelletto umano nell’esercizio della professione. Inoltre, introduce un obbligo specifico a carico degli avvocati: quello di informare sempre il cliente qualora intendano avvalersi di sistemi di intelligenza artificiale nell’esecuzione del mandato.

Trasparenza e competenza al centro

Questo principio risponde alla natura fiduciaria del rapporto tra avvocato e assistito e richiama i valori fondanti del Codice Deontologico, come la trasparenza, la competenza e la correttezza dell’informazione. Proprio per questo, potrebbe essere buona prassi per gli studi legali aggiornare già oggi i modelli di mandato, inserendo espliciti riferimenti all’eventuale uso di strumenti di intelligenza artificiale.

Il DDL prevede inoltre che gli Ordini professionali si facciano carico di promuovere percorsi formativi dedicati, con l’obiettivo di diffondere una cultura giuridica consapevole e critica sull’impiego di queste tecnologie.

IA e professione forense: il futuro si scrive ora

Se da una parte la giustizia digitale avanza e l’intelligenza artificiale entra progressivamente nel lavoro quotidiano degli avvocati, dall’altra la normativa italiana sembra ancora impreparata a gestire in modo organico e strutturato questa trasformazione.

Serve più di un generico richiamo alla formazione. Occorre una riflessione deontologica approfondita che tuteli il cliente, garantisca la correttezza professionale e sappia tracciare confini chiari tra ciò che la macchina può fare e ciò che deve restare prerogativa insostituibile dell’intelligenza e della responsabilità umana.

Un’occasione che il legislatore e la professione forense hanno ancora il tempo di cogliere — prima che l’intelligenza artificiale sia davvero onnipresente.


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