8 Luglio 2025 - PENALE | Novità giurisprudenziali

Cassazione: impugnazione inammissibile se inviata alla Pec sbagliata

Con la sentenza n. 24604/2025 la Suprema Corte ribadisce l’obbligo di utilizzare esclusivamente gli indirizzi certificati indicati dalla Dgsia. Nessun favore impugnationis può giustificare il mancato rispetto delle regole del processo telematico.

In tema di impugnazioni penali trasmesse per via telematica, la Corte di Cassazione conferma una linea di assoluto rigore. Con la recente sentenza n. 24604/2025, destinata al Massimario, i giudici supremi hanno ribadito che è inammissibile l’appello depositato tramite posta elettronica certificata (Pec) se inviato a un indirizzo diverso da quello indicato nel provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati (Dgsia), come previsto dall’art. 87-bis, comma 1, del Dlgs 150/2022.

Il caso e la decisione della Corte
La vicenda prende le mosse dal Tribunale di Palermo, che ha dichiarato inammissibile un atto d’appello trasmesso via Pec l’ultimo giorno utile, ma non indirizzato alla casella ufficiale per il deposito delle impugnazioni, specificata nel provvedimento diramato dalla Dgsia e pubblicato sul Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia.

Il difensore aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della norma, lamentando una presunta violazione dei diritti di difesa e dei principi del giusto processo. La Corte di Cassazione ha però respinto l’eccezione, giudicandola manifestamente infondata.

Perché la Cassazione ha detto no
Secondo la Suprema Corte, la disciplina sul deposito telematico in materia penale, così come definita dall’art. 87-bis Dlgs 150/2022 (introdotto dall’art. 5-quinquies della legge 199/2022), prevede espressamente specifiche ipotesi di inammissibilità. Tra queste, il caso in cui l’atto sia trasmesso a un indirizzo Pec non riferibile all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, secondo quanto stabilito dal Dgsia.

Tale previsione — spiega la sentenza — non confligge con i principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) né con quelli costituzionali, poiché risponde a finalità di certezza, efficienza e semplificazione dell’attività giudiziaria, garantendo una rapida gestione dei flussi in ingresso presso le cancellerie.

Un’esigenza di efficienza e tutela del giusto processo
La ratio della norma è chiara: evitare disguidi e ritardi nell’incardinamento degli atti giudiziari, consentendo ai cittadini e ai difensori di avere la certezza che i propri atti arrivino correttamente a destinazione e siano tempestivamente lavorati dagli uffici competenti.

Il sistema del deposito telematico, sebbene ancora in regime transitorio, prevede modalità precise, il cui rispetto è condizione essenziale per la validità dell’impugnazione. E se è vero — osservano i giudici di legittimità — che la giurisprudenza europea stigmatizza formalismi eccessivi, è altrettanto vero che una regola chiara sugli indirizzi Pec consente di tutelare tanto il buon andamento della giustizia quanto il diritto delle parti a un processo rapido e ordinato.

Nessuno spazio per il “raggiungimento dello scopo” fuori legge
Infine, la Corte ha escluso che possa trovare applicazione il cosiddetto favor impugnationis, ovvero la possibilità di considerare ammissibile un atto che, pur trasmesso in modo irregolare, abbia comunque raggiunto il suo scopo. Richiamando l’orientamento delle Sezioni Unite, la sentenza precisa che tale principio non può autorizzare forme di deposito alternative rispetto a quelle previste dal legislatore.


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