Non basta l’assenza di un avviso sull’opzione della giustizia riparativa per far dichiarare nullo l’atto di citazione in appello. A precisarlo è stata la Corte di Cassazione penale con la sentenza n. 20308 del 2025, intervenuta su un tema reso centrale dalla recente riforma Cartabia: il diritto dell’imputato a conoscere la possibilità di intraprendere percorsi alternativi al processo tradizionale.
Nel caso concreto, la difesa di un imputato aveva eccepito la nullità generale della citazione a giudizio in appello, contestando l’omissione dell’avviso previsto dalla normativa di riforma sulla giustizia riparativa. La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta e ora anche la Suprema Corte conferma l’impostazione, chiarendo i confini della questione.
Secondo i giudici di legittimità, la mancata informativa costituisce una semplice violazione di un obbligo di comunicazione, privo di effetti invalidanti sull’atto processuale. Non si configura, infatti, come un vizio che leda i diritti di difesa dell’imputato o comprometta il regolare svolgimento del contraddittorio.
La giustizia riparativa, sottolinea la Corte, è un percorso parallelo al processo penale, attivabile in qualsiasi momento, anche d’ufficio da parte del giudice, fino alla fase esecutiva della pena. Per questo motivo, la sua mancata segnalazione formale all’imputato non può costituire motivo di nullità, né generale né speciale, poiché quest’ultima può derivare solo da una previsione esplicita del legislatore.
La pronuncia ribadisce così uno dei principi cardine introdotti dalla riforma: l’accesso ai programmi riparativi resta sempre possibile, indipendentemente dalle eventuali omissioni procedurali, e il processo non può diventare un ostacolo a percorsi di mediazione o ricomposizione tra autore del reato e vittima.
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