Mentre l’Europa affronta le sfide dell’invecchiamento e della transizione digitale ed ecologica, l’Italia si trova in una posizione particolarmente delicata. Secondo le ultime proiezioni demografiche delle Nazioni Unite, entro il 2050 gran parte dei Paesi avanzati perderà una quota significativa di popolazione in età lavorativa, con il Giappone previsto a -20%, la Corea del Sud a -14% e l’Italia tra i Paesi più colpiti, con una riduzione superiore al 25% nella fascia tra i 25 e i 49 anni.
Un calo che, senza adeguate contromisure, rischia di compromettere non solo la sostenibilità del sistema pensionistico e sanitario, ma anche le capacità produttive e competitive del Paese. Ad aggravare la situazione, in Italia si sommano forti disuguaglianze sociali e territoriali che frenano la mobilità sociale e alimentano la fuga di giovani qualificati verso l’estero.
A fronte di queste dinamiche, il Rapporto ASviS 2025 e il recente Rapporto Giovani 2025 dell’Istituto Toniolo hanno ribadito con forza l’urgenza di una svolta nelle politiche educative e formative. Senza una strategia organica che investa sul capitale umano e sull’istruzione di qualità, il nostro Paese rischia di trovarsi impreparato di fronte ai profondi cambiamenti demografici e tecnologici in atto.
In Italia, infatti, persistono livelli di abbandono scolastico superiori alla media europea (10,5% contro il 9,5%) e solo un giovane su dieci tra coloro che hanno genitori con basso livello d’istruzione riesce a conseguire un titolo universitario. È evidente come il contesto familiare e territoriale condizioni ancora fortemente il percorso educativo e le opportunità future.
A preoccupare, inoltre, sono i dati dell’indagine internazionale PIAAC-OCSE sulle competenze degli adulti, che evidenziano per l’Italia livelli ancora bassi e poco migliorati rispetto alla precedente rilevazione del 2012, mentre molti altri Paesi hanno compiuto significativi passi avanti. Il rischio concreto è che senza interventi strutturali, i modesti progressi ottenuti dalle nuove generazioni possano andare dispersi.
Eppure qualche segnale positivo c’è: i giovani italiani tra i 16 e i 24 anni mostrano risultati più vicini alla media europea, in particolare nelle competenze numeriche. È la conferma che investire nelle fasi più precoci della vita può fare la differenza.
Fornire una solida formazione di base, ridurre i divari sociali e territoriali, promuovere il lifelong learning e rafforzare le competenze digitali e ambientali sono scelte non più rimandabili. Solo così si potrà costruire una società della longevità che non sia un freno, ma un’opportunità di sviluppo sostenibile e inclusivo.
La sfida, dunque, non riguarda solo la quantità della popolazione attiva, ma soprattutto la qualità delle persone che animeranno il Paese nei prossimi decenni. Un’Italia capace di valorizzare talento, competenze e innovazione, garantendo pari opportunità di crescita a tutte le fasce sociali e generazioni.
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