Come avete imparato a lavorare sotto pressione? Se pensate alla vostra esperienza professionale – che siate idraulici, giornalisti, insegnanti, chirurghi o avvocati – probabilmente ricorderete un periodo in cui avete affiancato qualcuno più esperto, osservando, eseguendo e infine insegnando ad altri. Questo processo di apprendimento è stato per secoli la base della formazione professionale. Tuttavia, oggi l’automazione e l’intelligenza artificiale potrebbero mettere in discussione questo modello consolidato.
Il tecnologo americano Matt Beane, professore associato presso il dipartimento di Technology Management dell’Università della California e ricercatore per il Digital Economy Lab di Stanford e l’Initiative on the Digital Economy del MIT, ha analizzato questo fenomeno nel suo ultimo libro Il DNA delle competenze (Egea). Secondo Beane, la crescente diffusione di assistenti AI come Copilot o Gemini ChatGPT permette ai lavoratori di risolvere problemi complessi in modo autonomo, ma con alcune conseguenze preoccupanti: sia i principianti che gli esperti rischiano di perdere opportunità di crescita.
Per i neofiti, il problema è evidente: se le soluzioni vengono fornite direttamente dall’AI, il percorso di apprendimento basato sull’esperienza diretta potrebbe ridursi drasticamente, rendendo superflue molte competenze di base. D’altro canto, anche i professionisti più esperti potrebbero vedere diminuire la propria capacità di problem solving, affidandosi sempre più alle risposte automatiche senza esplorare soluzioni alternative.
Un esempio concreto di questa trasformazione si osserva nell’ambito dello smaltimento di ordigni esplosivi. In passato, un tecnico esperto si avvicinava fisicamente all’ordigno, mentre un collega meno esperto osservava a distanza, imparando dal processo. Con l’introduzione dei robot, entrambi gli operatori possono rimanere al sicuro, ma il principiante perde l’opportunità di apprendere direttamente.
Lo stesso accade in altri settori, come la chirurgia. Beane sottolinea che il tradizionale metodo “see one, do one, teach one” – osservare, eseguire e insegnare – rischia di essere compromesso dall’introduzione massiccia dell’automazione. Se gli esperti si affidano esclusivamente agli strumenti AI per eseguire operazioni complesse, i giovani medici avranno meno occasioni di formazione pratica, con ripercussioni sull’innovazione delle tecniche chirurgiche.
Per affrontare questa sfida, Beane suggerisce due strategie fondamentali:
- Ridefinire il lavoro affinché l’uso dell’AI supporti lo sviluppo delle competenze, anziché sostituire l’apprendimento esperienziale.
- Favorire l’interazione tra esperti e principianti attraverso modelli di collaborazione innovativi, che consentano di integrare l’intelligenza artificiale senza eliminare il valore del confronto umano.
«Senza una correzione tempestiva – avverte Beane – questa crisi delle competenze potrebbe costare miliardi di dollari, oltre a compromettere la crescita professionale di intere generazioni di lavoratori». La sfida, quindi, non è solo tecnologica, ma riguarda il futuro del nostro modo di lavorare e imparare.
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