Con la sentenza n. 36217 depositata il 27 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’invio di messaggi diffamatori su Messenger non integra il delitto di diffamazione in assenza di dolo. La vicenda ha origine dalla condanna di un’imputata da parte della Corte d’Appello dell’Aquila, che l’aveva ritenuta colpevole di diffamazione aggravata per aver condiviso, attraverso la piattaforma di messaggistica di Facebook, una lettera offensiva nei confronti di un avvocato.
Il difensore dell’imputata ha contestato la sentenza, sottolineando che i messaggi erano stati inviati in un contesto privato e che l’imputata non sapeva che più persone avessero accesso a quel canale di comunicazione. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, evidenziando che per configurare il reato di diffamazione è necessario che l’agente sia consapevole di comunicare con più persone o di agire in modo tale che le informazioni possano diffondersi.
I giudici hanno ribadito che il dolo, nel caso di diffamazione, richiede non solo l’intento di ledere la reputazione altrui, ma anche la consapevolezza che le affermazioni denigratorie possano raggiungere un pubblico più ampio. Nel caso in esame, la mancanza di tale consapevolezza ha portato all’annullamento della sentenza senza rinvio, poiché il reato era estinto per prescrizione.
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