Nel corso degli ultimi tre anni, il mondo delle imprese ha attraversato delle situazioni che hanno stimolato l’adozione di nuovi modelli di business e organizzativi. La pandemia ha fatto sorgere i primi segnali della crisi nel mondo del mercato degli approvvigionamenti, e le tensioni geo-politiche hanno innescato una crisi energetica importante.
È in questo contesto che le Pmi nazionali hanno reagito con flessibilità sufficiente, trovando delle valide alternative alle fonti energetiche utilizzate. Commenta il direttore dell’Osservatorio innovazione digitali delle Pmi del Politecnico di Milano, Claudio Rorato: «Tutto questo ha però provocato un rallentamento degli investimenti in digitalizzazione».
«La trasformazione digitale ha tuttavia anche delle ombre: a fronte del 42% di Pmi che crede e realizza investimenti di natura digitale, più di tre piccole e medie imprese su dieci non riconoscono il valore del digitale all’interno del loro settore di appartenenza. La crescita della cultura digitale, vale a dire capacità di elaborare nuove visioni, investire nelle competenze del personale, usare le tecnologie per agire sui modelli organizzativi, di business e relazionali, è ancora una debolezza diffusa».
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Il Pnrr ha messo a disposizione 13 miliardi sulla transizione 4.0, con l’obiettivo di promuovere la trasformazione digitale delle imprese andando ad incentivare, con il riconoscimento di crediti d’imposta, investimenti in beni e in attività per la digitalizzazione dei processi.
Inoltre, il Pnrr mette a disposizione servizi dedicati alle imprese attraverso bandi diretti: troviamo, per esempio, 750 milioni per i contratti di sviluppo che vanno a finanziare progetti di investimento per quanto riguarda le filiere produttive e 400 milioni di euro per la creazione di imprese femminili.
Precisa Roberto Trainito di Intellera Consulting: «Tutti questi bandi sono già partiti: hanno lanciato un primo bando e spesso ne seguiranno altri, visto che il processo di spesa dei fondi Pnrr deve durare fino al 2026». La risposta ai bandi di solito è adeguata: «Nel piano Transizione 4.0 c’era per esempio una misura specifica sulla formazione digitale per i dipendenti con 300 milioni di euro stanziati che sono stati spesi interamente».
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Non manca, comunque, il rovescio della medaglia. «Come sistema paese, stiamo commettendo un errore quando affidiamo la digitalizzazione delle pmi esclusivamente ai loro imprenditori, poiché non possono affrontare da soli la sfida», dichiara Rorato.
«Il loro vero problema risiede nella gestione quotidiana dell’attività imprenditoriale. Gli imprenditori soffrono di solitudine poiché non hanno ammortizzatori interni per affrontare le difficoltà. Cosa succederà in futuro?».
Tutto dipende «dalla capacità dell’ecosistema di sostenere gli imprenditori. Alcuni segnalano che non sono riusciti ad attivare la fabbrica 4.0 a causa della latenza che impediva alle macchine di comunicare tra loro. Qui, per esempio, entra in gioco la connettività e l’infrastruttura, non è responsabilità degli imprenditori».
Un altro aspetto cruciale è la formazione, che deve partire dall’ecosistema. Conclude Rorato: «I finanziamenti sono disponibili, ma spesso gli imprenditori si trovano con una macchina parcheggiata nel box di casa senza nessuno che sappia guidarla. Non si tratta solo di avere molti soldi, ma di comprendere come utilizzarli. Questa comprensione non dovrebbe provenire solo dagli imprenditori stessi, ma anche dall’ecosistema che deve comprendere le problematiche specifiche e sostenere il sistema imprenditoriale».
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