Il suicidio assistito, in Italia, ovvero la possibilità di somministrarsi autonomamente un farmaco letale seguendo determinate condizioni, è legale soltanto grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, e non perché esiste una legge a riguardo.
Dunque, senza una legge, la sentenza del 2019 stabilisce quando la pratica non è punibile, senza dare chiare indicazioni riguardo modalità e tempi di attuazione. Più volte è stato chiesto al Parlamento di approvare una norma, senza successo.
Attualmente c’è una proposta ancora ferma al Senato, ritenuta comunque inadeguata. Per ora, ogni caso viene gestito dalle singole ASL, e per questo motivo, in otto regioni italiane ci sarà una raccolta firme, promossa dall’Associazione Luca Coscioni, per proporre una legge regionale apposita.
Stefano Gheller e la libertà di scelta
L’assenza di una legge in materia ha causato enormi conseguenze per le persone che avrebbero voluto ricorrere alla morte assistita: alcune, infatti, sono morte prima di riuscire ad accedere al suicidio assistito, dopo intense sofferenze, altre hanno intrapreso lunghissime battaglie legali e altre ancora sono dovute andare all’estero.
L’unica persona in Italia che è riuscita ad ottenere l’accesso alla morte assistita, senza attraversare lunghe vicende giudiziarie, è Stefano Gheller, un uomo di 49 anni affetto da una grave distrofia muscolare. Gheller, da quando ha 15 anni, vive sulla carrozzina, utilizza un respiratore 24h/24h e non riesce più ad utilizzare le braccia.
Gheller non può bere o mangiare in maniera autonoma, ha difficoltà a parlare e ha molti dolori posturali. L’uomo, nonostante abbia ottenuto l’autorizzazione, ha deciso comunque di aspettare per ricorrere alla morte assistita.
La sua volontà di ricorrere al suicidio assistito riguarda principalmente l’affermazione della sua libertà di scelta per quanto concerne la fine della sua vita. Racconta Gheller: «Per adesso cerco di farmi forza e di andare avanti, ho una sorella a cui voglio molto bene e a cui voglio stare vicino il più possibile e diversi piani per il futuro: ma mi sono tolto un gran peso, sapendo che ho questa possibilità».
L’uomo avrebbe deciso di aspettare anche in quanto ha a disposizione un’assistenza sanitaria adeguata da parte dello Stato italiano: «Avere gli strumenti e le risorse economiche per avere una vita dignitosa è un altro elemento molto determinante in questo tipo di scelta».
I requisiti per accedere al suicidio assistito
Il caso Gheller è stato rapidamente gestito dall’ULSS 7 Pedemontana, che, nonostante l’assenza di una legge, ha garantito ugualmente il diritto di accedere alla morte assistita in tempi rapidi, in tre mesi e mezzo. La legge regionale sulla quale si stanno raccogliendo le firme, invece, vorrebbe stabilire un limite di 20 giorni.
L’avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, ha detto che «chi oggi in Italia vuole ricorrere al suicidio assistito deve contattare la propria ASL di riferimento e inviare una richiesta di verifica delle proprie condizioni, come previsto dalla sentenza 242 della Corte Costituzionale: per farlo, con l’associazione Luca Coscioni abbiamo predisposto una bozza che è disponibile su richiesta».
L’ASL dovrà verificare i requisiti stabiliti grazie alla sentenza di Cappato, ovvero: se il richiedente è capace di prendere decisioni consapevoli e libere, se è affetto da una patologia irreversibile che causa intollerabili sofferenze fisiche e psicologiche, se è tenuto in vita da «trattamenti di sostegno vitale».
Quest’ultimo potrebbe essere un respiratore meccanico o un ventilatore, anche se una sentenza del 2021 ha esteso la definizione anche ai trattamenti farmacologici, che se interrotti portano al decesso del paziente. Se tutti questi requisiti sono soddisfatti, allora si potrà accedere al diritto del suicidio assistito.
Chi deve verificare i requisiti dei pazienti
La Corte Costituzionale ha stabilito chiaramente che la verifica dei requisiti spetta alle strutture pubbliche del SSN, grazie a medici e ad un comitato etico territoriale. Ma i primi problemi che hanno incontrato le persone che hanno deciso di richiedere il suicidio assistito partivano proprio da qui, dato che almeno in tre casi, l’ASL locale ha respinto la richiesta, senza verificare le condizioni del richiedente.
Spiega Gallo: «E’ stato il caso di Daniela, la prima persona a fare richiesta per il suicidio assistito». A febbraio del 2021, Daniela, una donna di 37 anni con un tumore incurabile e in fase terminale aveva richiesto alla propria ASL la verifica dei requisiti per accedere al suicidio assistito.
L’ASL, però, aveva rifiutato di effettuare la verifica, poiché non la donna non era tenuta in vita da “trattamenti di sostegno vitale”. Daniela aveva quindi deciso di fare ricorso al Tribunale di Roma, ma è morta due settimane prima dell’udienza.
Altri casi noti in cui l’ASL ha rifiutato di verificare i requisiti sono quelli di Mario, ovvero Federico Carboni, e Antonio, due uomini diventati tetraplegici dopo incidenti stradali. Carboni è stato il primo in Italia a ricorrere legalmente al suicidio assistito – ma soltanto dopo una vicenda legale di due anni.
Iscriviti al canale Telegram di Servicematica
Notizie, aggiornamenti ed interruzioni. Tutto in tempo reale.
La verifica delle condizioni della persona che presenta la richiesta attualmente consiste in una serie di colloqui presso il domicilio della persona malata, esami, visite e accertamenti da parte di una commissione multidisciplinare e a carico del SSN.
Nella proposta di legge regionale è prevista una commissione permanente, all’interno della quale troviamo un palliativista, uno psichiatra, un neurologo, un anestesista, uno psicologo e un infermiere, da integrare a seconda del caso. La verifica include una valutazione clinica e una psichica, tramite colloqui, test verbali e non verbali, prove e valutazioni psichiatriche.
La necessità di una legge sul suicidio assistito
Nei casi di Carboni e di Antonio venne approvata la richiesta di morte assistita, anche se l’azienda e il comitato etico non indicarono quale farmaco somministrare e come somministrarlo.
Carboni aveva deciso di insistere, denunciando l’ASL per omissione di atti d’ufficio e per tortura. Soltanto mesi dopo sono arrivate le indicazioni sul farmaco e su come somministrarlo. Spiega Gallo che il farmaco per la morte assistita «non è in vendita in farmacia, e dovrebbe essere fornito dall’azienda ospedaliera».
Il farmaco va valutato a seconda della situazione specifica del paziente, anche se il criterio generale consiste nel fatto che garantisca una morte indolore, rapida e dignitosa.
Per Carboni fu decisa una dose non inferiore a 3-5 grammi di tiopentone sodico, utilizzato in dosi minori per le anestesie, che l’uomo avrebbe dovuto somministrarsi autonomamente in vena grazie ad un macchinario apposito.
Tuttavia, dovette farsi personalmente carico del farmaco, cercare da solo un medico e il macchinario apposito. «A quel punto Carboni non ha voluto fare altre richieste e ha deciso di procedere privatamente, e più velocemente».
Grazie all’associazione Luca Coscioni, che per l’occasione aveva organizzato una raccolta fondi pubblica, Carboni era riuscito ad acquistare il macchinario e il farmaco. Carboni è morto il 16 giugno 2022 alle 11:05 in casa propria, insieme alla famiglia, agli amici, Marco Cappato, Filomena Gallo e una parte del collegio legale. Carboni, prima di morire, ha detto:
«Con l’associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro Paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio».
LEGGI ANCHE:
Digitalizzazione del lavoro: un algoritmo che sceglie l’annuncio giusto