21 Ottobre 2020

A che punto siamo con tutte le riforme che riguardano la professione forense?

A che punto siamo con tutte le riforme che riguardano la professione forense?

Il COVID ha certamente scombinato molti piani e nonostante la (ormai) conclusa fase di riapertura abbia dato una nuova spinta alle riforme, l’incertezza data dall’aumento dei contagi distoglie l’attenzione delle istituzioni, facendo scivolare le riforme che riguardano la professione forense in fondo alla lista delle priorità.

Tra queste figurano certamente le riforme:

– della monocommittenza,

– dell’equo compenso,

– dell’accesso alla professione,

– delle specializzazioni.

LE RIFORME DELLA PROFESSIONE FORENSE

RIFORMA DELLA MONOCOMMITTENZA

In Italia vi sono circa 30.000 avvocati “dipendenti”, professionisti che non hanno quasi mai una clientela propria e che operano presso studi di altri professionisti.

Tali figure non sono disciplinate da alcuna norma, e sarebbe auspicabile porre rimedio alla situazione in modo da poter garantire anche a loro un minimo di tutele.

Si attende ancora la formalizzazione di una proposta di legge.

RIFORMA DELL’EQUO COMPENSO

Si definisce equo quel compenso che è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, e che è conforme ai parametri indicati dal D.M. 55/2014.

L’istituzione nel luglio 2019 del “nucleo di monitoraggio sull’equo compenso per la professione forense” ha portato alla luce un grande numero di condotte non ottimali, sia da parte di clienti privati che da parte della pubblica amministrazione. In sostanza, la disciplina dell’equo compenso non è mai stata davvero applicata.

Tra le varie proposte in campo, anche quella di vietare espressamente alla PA di emanare bandi che non riconoscono alcuna retribuzione delle prestazioni dei professionisti.

RIFORMA DELL’ACCESSO ALLA PROFESSIONE FORENSE

La riforma dell’accesso alla professione forense ha visto il più recente step lo scorso 11 agosto, con il decreto Giustizia d.l. 80/20 che ha posticipato di altri due anni, al 31 marzo 2022, l’avvio dei corsi obbligatoti per accedere all’esame di abilitazione, già prorogato di due anni con il decreto Mille Proroghe d.l. 162/2019.

I corsi di formazione potranno essere tenuti da ordini, associazioni forensi e altri soggetti previsti dalla legge.

Rimane l’incognita sullo svolgimento della prossima sessione d’esami in considerazione dell’andamento dell’epidemia e della possibile estensione dello stato di emergenza.

RIFORMA DELLE SPECIALIZZAZIONI

Delle specializzazioni si parla all’art.9 della legge 247/2012 (legge professionale forense).

La specializzazione può essere acquisita:

  1. dopo un percorso formativo di 2 anni presso le facoltà di giurisprudenza con le quali il CNF e i consigli degli ordini territoriali hanno stipulato convenzioni,
  2. grazie a una comprovata e continuativa esperienza nel settore di specializzazione, che ricopra almeno gli ultimi cinque anni di attività, e a patto che si sia iscritti all’albo da almeno otto anni.

Il D.M. 144/2015 con le disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista doveva attuare l’art. 9, ma così non è stato a seguito delle pronunce contrarie del TAR del Lazio e del Consiglio di Stato.

Per superare l’impasse è stato steso un nuovo schema di decreto ministeriale, il “Regolamento concernente modifiche al decreto del ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell’articolo 9 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
L’iter di approvazione si è quasi concluso: a inizio 2020 il Consiglio di Stato e le commissioni Giustizia della Camera e del Senato hanno dato parere positivo.
Nonostante ciò, diverse associazioni specialistiche forensi criticano le nuove disposizioni, per due motivi. In primis, consentirebbe l’acquisizione del titolo di specialista anche a soggetti che, al momento del conseguimento del dottorato di ricerca o del master, non sono ancora abilitati alla professione. Poi, la concessione al CNF di stipulare convenzioni anche con associazioni rappresentative non specialistiche risulta essere in contrasto con quanto indicato nel D.M. 144/2015 (l’art. 7).

Entro fine anno la questione dovrebbe essere definitivamente risolta.

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